23 lug 2015

Leggerezza. Questa sconosciuta.

Sandor Marai ne " Le confessioni di un borghese" sostiene che per molto tempo crediamo di conoscere la natura dei nostri desideri, delle nostre inclinazioni e dei nostri stati d’animo. Ma poi arriva un attimo in cui un’esplosione assordante ci avverte che viviamo in luoghi diversi da quelli in cui vorremmo vivere, che non ci occupiamo delle cose per cui abbiamo attitudine, che cerchiamo i favori o suscitiamo la collera di persone con cui non abbiamo nulla in comune, mentre ci manteniamo distanti, sordi e indifferenti nei confronti delle persone di cui proviamo nostalgia e a cui siamo legati da un vincolo profondo. Chi non presta ascolto a un tale avvertimento rischia di vivere una vita goffa e dimezzata, senza mai essere veramente se stesso. Quell'attimo è un lampo che ci rivela quali siano i nostri compiti, i nostri obblighi e il nostro destino, e che cosa, nella nostra vita, appartenga esclusivamente a noi. Ora chi glielo dice che quel lampo può arrecare più danni che doni e che la vita, per quanto sia l'unica che abbiamo, non la puoi candeggiare per lavare le patacche e stendere ad asciugare al sole? Chi glielo dice che nonostante la vita che ti cresce addosso, la partita di ritorno potresti non potertela giocare mai perché le mani, i piedi, la testa e il cuore non ti sorreggono più? Chi glielo dice?

8 mar 2011

Fahrenheit 451

Vogliono controllare da sempre i nostri pensieri. Vogliono che pensiamo quello che vogliono loro. Vogliono che siamo bravi e tranquilli e non diamo fastidio. Vogliono che diciamo grazie, signore, e scusi, signore, e mi permetta, signore. Vogliono che recitiamo la nostra recita della vita, con le battute già scritte per noi, senza improvvisare, e soprattutto senza uscire dal copione che hanno previsto per ognuno di noi. Chi sono? Sono i soliti di sempre, i potenti, i controllori, quelli che spingono i bottoni, quelli che stanno in alto e a volte si affacciano dalle finestre per ricevere le nostre ovazioni.
I potenti hanno scoperto che per controllare i nostri pensieri non c'è niente di meglio che limitare o ridurre il livello di informazione. Le informazioni si possono ridurre o censurare in molti modi. Impossessandosi dei mezzi che danno le notizie. O ancora meglio eliminando fisicamente quei mezzi. Il mezzo più nobile per fare cultura e informazione sono da sempre i libri. Ebbene, si sono detti i potenti, se noi bruciassimo i libri, quelli di carta e magari il loro corrispettivo immateriale del Web, come funzionerebbe meglio la società! Sarebbe più ordinata, senza facinorosi con un sacco di grilli in testa a causa di letture sbagliate. Senza gente che spreca tempo ed energie a pensare invece che a vivere. Bruciare i libri, questa è la via per creare una società migliore.
I potenti hanno tentato di farlo più volte nel corso della Storia. Ma dove ci sono riusciti meglio è stato senza dubbio nello straordinario romanzo "Fahrenheit 451" di Ray Bradbury pubblicato negli anni ’50 e che ho riletto in questi giorni..Uno scenario fantascientifico e paradossale ai limiti dell’assurdo ma più attuale che mai. Perché ai nostri giorni è più forte che mai il tentativo dei poteri politici, culturali o ideologici di controllare le nostre menti e farci pensare quello che vogliono loro. Lo fanno senza bruciare i libri, senza uccidere ed incenerire chi tenta di capire al di là del visibile e del riconosciuto, senza terrore e senza paura ma in maniera più subdola e sottile instillando confusione e dubbio nelle nostre coscienze, sovvertendo il senso della morale e del costume, stendendo nebbia su verità palesi a tutti. Mi domando se si tratti di una battaglia da vincere ora o di una guerra che ha avuto inizio con la storia dell’uomo e che non avrà mai fine.

13 nov 2010

No title

 Io volevo solo una vita senza disincanto.
 Invece piango risate in pubblico e rido lacrime in privato.
 Non bisognerebbe mai dimenticare come si cade.
 Non bisognerebbe.

12 giu 2010

Coriandoli

In mezzo alla piazza  c’è una donna con i capelli  color ebano e i vestiti colorati che ad ogni passo fa volare coriandoli per aria. La seguo, ebbra di questa visione e del profumo di leggerezza che emana. Vorrei carpire il segreto del suo passo leggero, delle sue vesti che ondeggiano libertà, del candore che leggo nel suo sguardo quando incrocia il mio. La seguo, la trattengo e le tendo la mano. Me la stringe. La sua stretta di mano è diversa, diversa da quella di tutte le mani che ho stretto nella mia intera vita. Mi parla senza emettere alcun suono regalandomi immagini veloci e nitidissime mentre stringe la mia mano per un tempo che pare eterno. Vedo cartelle di fogli bianchi con titoli imponenti, storie appena abbozzate senza finali. La mia arte, il mio unico talento. La mia vita. All’improvviso un guizzo veloce dei suoi occhi  mi rimanda tracce compiute alle mie storie senza finale  e carne e sangue alle mie pagine bianche. Stavolta le immagini sono terrificanti. Vedo porte, cancelli, frontiere e cartelli che indicano direzioni obbligate. Faccio un balzo indietro e come colpita da una scarica elettrica strappo la mia mano da quella morsa spaventosa. Mi ritrovo sola su quella piazza. Non c’è traccia della donna  dai vestiti colorati e dai capelli color ebano. Solo coriandoli ai miei piedi.

13 feb 2010

Sliding Doors?

Quanti volti, quanti incontri, quante voci, quanti sguardi, quanti mondi, incrociati e persi senza dolore lungo la strada. Tanti persi quanti ne perderemo ancora. Chissà come sarebbero cambiate le nostre vite se ci fossimo tenuti aggrappati a quei fili invece di lasciarli andare per sempre. Vuoti che se colmati avrebbero alimentato e diretto la nostra vita in altre direzioni. E se avessimo preso altri treni, se fossimo entrati in altri scompartimenti, se avessimo incontrato altri compagni di viaggio? L’oceano delle possibilità, il mercatino delle occasioni, il crocevia dei destini e delle esistenze. La voragine dalla quale emergiamo con in mano sola una vita. E ci saranno altri treni, altre stazioni, altre possibilità di scendere e ripartire ancora tante volte sino a quando il sipario delle nostra vita calerà sul nulla.
Amen e cosi sia!

9 set 2009

Va' pensiero

Ci sono porte che non apro. Parole che non pronuncio. Voci e richiami ai quali non rispondo. Sguardi che non sostengo. Non è per noncuranza. E’ che ci sono pensieri che passano una sola volta nella tua mente e comprendi che sono diversi da altri perché hanno una nota che ti cattura. La nota diventa un inciso e quell’inciso non ti molla. Comprendi che questo lo devi fermare perché fermarlo potrebbe fare la differenza. Ci sono pensieri a perdere e altri a dare. Esistono i pensieri necrotici, i pensieri alibi e quelli smessi e scoloriti che improvvisamente ritornano in tutta la loro attualità e reclamano voce e altri che dopo averti amata e coccolate si dissociano da te e pensieri alla deriva che vanno e tornano, vanno e tornano con le onde E in questo viluppo ne cogli uno e quell’uno fa la differenza. Dove mi porterà magari ci penserò domani.:)

22 giu 2009

Io non capisco gli adulti


Quando da bambina mi si domandava che cosa volessi fare da grande, rispondevo sicura: la guardiana del faro. Nel pensiero ingenuo di una bambina c’era solo la comprensione assoluta di quella che era la sua individualità più autentica. Una bambina non si domanda se quello che desidera è attuabile. Lo desidera e basta. Gli adulti ovviamente sorridevano ed io non capivo che cosa ci fosse di così ridicolo nella mia affermazione tanto da giustificare quelle risate. La loro mente era già smarrita e ammorbata, ma io allora non potevo saperlo. Che poi non erano proprio risate. Credo di non sbagliare se ricordo di aver colto qualche sguardo melanconico allora, quei lampi che ti vergogni di cogliere, quasi come stessi spiando dal buco della serratura nel privato più privato di un altro essere umano. Lampi di malinconia e di rimpianto. Mi atterrivano allora quegli sguardi e mi atterriscono ancora. Spiavo le espressioni dei grandi. A volte mi sembravano sporche, altre sconfitte, arrese alla quotidianità e a quello che sembrava il giusto e il prudente. Mi sembravano gli ultracorpi della fantascienza, uomini fuori ma senza emozioni. Io non capivo gli adulti. E loro non capivano me.
Ricordo che si andava al mare e nel pomeriggio arrivava il momento dei gelati per i bambini. Tutti si buttavano come impazziti ad infilare le mani in quella scatola a pescare quello che capitava. Tutti tranne me. Io aspettavo fuori dalla calca e non era detto che prendessi il gelato dopo. Non volevo un gelato, volevo il gelato. Se non c’era quello di mio gradimento e considerando che gli altri avevano già scelto la speranza era praticamente nulla, giravo i tacchi in silenzio. Gli adulti non capivano. Ma che c’era da capire?
Non capivano nemmeno perché io regalassi le mie cose. La proprietà. Io non concepivo il concetto di proprietà, non mi apparteneva cribbio. Capivo che se tu desideravi una cosa che mi apparteneva, regalartela o dividerla con te mi rendeva felice. Ricordo che una volta regalai una scarpa. Vai a capire che cosa mi passasse per la testa, che ci fa uno con una tua scarpa? Ma tant’è che così andò.
Anni fa partecipai alla prima marcia per la pace che si tenne in Italia. In verità della marcia non mi importava granché. Forse neppure della pace. Mi divertiva l’idea di vivere per strada, quindici giorni di cammino sotto il sole di luglio, zaino militare in spalla con tutte le tue cose, camminare su strade polverose e dormire in un sacco a pelo con il cielo sopra la tua testa. Un massacro in realtà, un favoloso massacro. Fatto sta che al mio rientro dormire con quattro pareti intorno proprio non mi riusciva. Non mi pareva ci fosse nulla di strano a posizionare il sacco a pelo in giardino per qualche giorno. Non li capirò mai gli adulti.
La cresima. Tutti i bambini fanno la santa cresima. Io non ho fatto la santa cresima. Non ho voluto fare la santa cresima. Ed è stata la prima e santissima volta che ho visto un adulto senza parole. E’ disarmante per un adulto sentire l’ovvietà uscire dalla bocca di un bambino.
Come tutte le bambine ho giocato con le bambole. Mi regalavano le bambole ed io giocavo con le bambole. Tutte le bambine giocano con le bambole. Non saprò mai se mi sarebbe piaciuto giocare con altre cose. Ma così è. E tutte le bambine sognavano di sposarsi e indossare un favoloso abito bianco. Io non ricordo che questo pensiero mi fosse mai passato per la testa. Sono davvero convinta che i bambini sanno già tutto. Hanno una percezione così chiara ed evidente di se stessi ed è davvero un peccato mortale quello che accade dopo. Questo si che è un reato e dovrebbero punire i responsabili. Tu sai tutto e poi ad un tratto sai solo quello che altri vogliono che tu sappia. Ed ecco che arriva l’errore, il passo falso che può comprometterti l’esistenza. Ma vai a spiegarlo agli adulti.


8 giu 2009

Another brick in the wall


Il risveglio del mattino è un incognita. Ci sono giorni in cui tutto si svela. Un film perfetto dove non hai alcun dubbio che il senso dell’immagine che ti scorre davanti sia quello che hai colto. Dove ogni cosa prende posto nel suo assetto naturale. Dove persino le motivazioni hanno una base e un’altezza. Ma ce ne sono altri che sono l’egemonia del caos e del sovvertimento. Ma ci sono anche quelli dei progetti strampalati e dei vagheggiamenti improbabili ma accattivanti che azzerano le incertezze e le controindicazioni. E questi confondono gli altri per eccesso. Non sono mai stata saggia nei confronti della mia vita e neppure lungimirante. Ho smesso di fare sforzi inauditi per dimostrare qualcosa al mondo. Forse ho anche smesso di rimanerci male quando i dritti ti dicono che sei storta. Vogliono solo amputarti le aspettative e mettere un chiavistello ai tuoi varchi e lo fanno tanto per. Di te non gliene frega nulla. E se lo sai, sei già più avanti perché sai reggere lo sguardo della realtà. Sai reggere il tuo sguardo allo specchio. E hai imparato a spostare il tuo sguardo dal loro.

14 mag 2009

Ciak...si rigira!


Alla fine tutti abbiamo bisogno di punti di riferimento, da scoprire o da ritrovare. Persino in questo cacchio di città. I visi che incontri nella strada che percorri abitualmente, la cassiera del supermercato nel quale ti senti più a tuo agio, un angolo di città che catalizza la tua attenzione, una panchina dove sedersi ed osservare questo angolo di mondo ed imparare ad amarlo. Ma ancora e per ora l’unico riferimento è la mia ostinazione a non voler sentire vedere toccare questo mondo. Mi culla il pensiero di pagine bianche ancora da riempire, della possibilità, dell’altrove, di mondi sfiorati che attendono di svelarsi ai miei occhi.
E’ che una vita non basta, non basta accidenti. La vita è come il cinema. La prima parte è come quei vecchi film muti e in bianco e nero, ti senti triste in uno di quei film, prigioniera di un interminabile autunno, ti manca la parola e la possibilità di far sentire l’eco della tua risata. Ma tieni duro e sei ricompensata con il sonoro e poi ancora con il colore e lo schermo panoramico che dà più respiro ai tuoi sogni e alla tua sete di avventura. Ma ancora non ci siamo. Perché capita, senza che tu possa averne coscienza, di venire risucchiata in una di quelle pellicole francesi d’epoca con scarsi dialoghi dove a parlare è l’immagine. Oppure sei assorbita in una surreale storia di incomunicabilità diretta da Bergman o Antonioni. Tieni duro ancora. La vita cambierà e cambierà pure il cinema che la rappresenta. E hai ragione, ecco che irrompe prepotente nella tua esistenza il cinema degli effetti speciali, dell’audio ad alta definizione, delle animazioni al computer, delle mirabolanti trovate futuristiche che danno una scossa ai tuoi sensi ottenebrati. Ma a volte è troppo tardi, maledizione. Quando arrivano gli effetti speciali, chissà perché tu sei già morta stecchita. Io spero almeno di potermeli godere a lungo.

2 mag 2009

Autostima-a-a-a


- Allora, Cleide, lo vogliamo scrivere o no questo benedetto nuovo post? La gente tra poco comincerà a telefonare a “Chi Blog l’ha vista?” se non butti giù qualche riga.
- Lo farei volentieri, Capitano, ma non ho nessuna ispirazione. Tutte le idee che mi vengono mi sembrano banali e mosce. Scrivere un post mi pare un’impresa titanica.
- Ma quale impresa titanica! Che ci vuole a buttare giù due righette da diaro virtuale. Puoi parlare della patente che vuoi prenderti, dei cani rompiballe della vicina o di quella artista tedesca che incontrammo a Caserta Vecchia, te la ricordi? Quella pazza che compariva nel buio come Belfagor e minacciava di frustarti se ti scordavi di salutarla. O meglio ancora puoi raccontare il viaggio che hai fatto ieri a Olbia nella Bmw decapottabile, con tanto di capelli al vento. Scrivi il post e io ci metto il video di “Good morning Starshine” dal film Hair. Ci farai una figura splendida, da Hippy Webby, mentre descrivi il grido di libertà che lanciavi sull’autostrada Alghero-Olbia, con il vento caldo odoroso di anni Sessanta che ti lisciava i capelli e ti sussurrava paroline dolci.
- Oltre al fatto che non ho la più pallida idea di cosa sia una Hippy Webby, siamo stati con la capote abbassata solo per qualche chilometro perché c’era un vento che più che di anni Sessanta odorava di merda di cavallo.
- Vedi come sei rompiscatole e antiromantica? Che importanza hanno un chilometro o cento, o se il vento odorava di cacca di cavallo o di Figli dei Fiori? Ciò che conta sono le sensazioni. Le emozioni. E poi ti ho detto mille volte di colorire letterariamente un po’ le tue esperienze.
- Che significa colorire, mi devo inventare tutto?
- Quale inventare. Significa che vai a prenderti una pizza da Peppino La Bomba e scrivi sul blog che sei stata a cena al ristorante cinque stelle Royal Society, ti fai una passeggiata serale sul desolato lungomare algherese e dici che sei scesa in spiaggia di notte e ti sei fatta il bagno con tutti i vestiti. Incontri un tuo ex che ti sbadiglia in faccia e ti dice ciao sbagliando il tuo nome e giuri che ti ha salutato piangendo e che ti ha implorato di tornare con lui. Capisci? Non si tratta di mentire, ti prendi qualche piccola licenza poetica.
- Ho capito, tra poco mi consiglierai di fare come il Giomba quando strombazza che tutti lo amano, che ha vinto tremila premi per il suo blog da Pizzighettone Net a Cazzago Web e che i network americani si sbracciano per intervistarlo.
- Certo, fa come Giomba, scrivi che hai vinto centinaia di premi con il tuo blog o con il tuo sorriso sfrontato, scrivi che i vip ti cercano e ti amano. Metti sulla colonna laterale qualche centinaio di commenti genuflessi in cui tutti giurano che sei brava, bella e intelligente e che il mondo senza di te non può andare avanti. Se non hai niente sottomano, te ne scrivo io una ventina seduta stante.
- Sei pazzo? Poi passa Celia e le viene un colpo e si chiede se mi sono presa una giombite acuta. Però quella storia del video di “Good Morning Starshine” non è male. In effetti la corsa nella decappottabile me la sono fatta, i capelli svolazzavano sull’autostrada e per qualche nanosecondo me la sono sghignazzata pure come Jacqueline Kennedy, con un foulard supershocking annodato al collo.
- E non scordare il vento.
- Certo, Capitano, ora che mi ci fai pensare il vento sull’autostrada profumava proprio di anni Sessanta e, anzi, direi proprio che mi sussurrava nelle orecchie con la voce di uno chansonnier alla Jacques Breil. Sai quella canzone che dice “Je t’inventai” o meglio ancora “je te parlerai” di “le rouge et le noir”, e non scordiamoci “Ne me quitte pas”. Insomma quelle minchiate lì… cioè volevo dire quelle splendide perle sentimentali. Sìììì, ne sono sicura, ieri sull’autostrada, mentre facevo Jacqueline nella Bmw decappottabile il vento, con la voce precisa di Jacques Breil, mi implorava: “Non abbandonarmi”.
- Ecco, così sì che mi piaci. Evvaaaaiiii.

28 mar 2009

Achtung Baby


Quando hanno spiegato come si prende per il verso giusto questa campionario di circostanze che chiamano vita, ero distratta o ero assente. E mi domando se non sia tardi per prendere ripetizioni o non mi resti che fare della mia asinità virtù. Sono una irresponsabile esistenziale. Con i pensieri appesi come salami che tardano a stagionare. Banditi latitanti. Primule rosse. E Dio sa che cosa salterà fuori il giorno che si riveleranno. Mi rimane sempre il manuale di atterraggio sul morbido. Me lo regalò un amico che nel frattempo ho perso di vista. Si mormora si sia fatto molto male. Schiantato sull’asfalto di sogni disertori. La mia domanda ora è: avrà usato il manuale?

16 mar 2009

Dap..Crack..Bum!


Dap Dap Dap
Sembra un Rap
Invece è un Crack.
A volte penso che dovremmo parlare per verità elementari. Per parole semplici. Scrivere semplicemente. Scrivere: ho fame. Ho freddo. Sto bene. Sto male. Sono nera. Sono felice. Invece saliamo e scendiamo le scale dei sinonimi e dei contrari. Sostiamo nei pianerottoli dei futuri ipotetici. Bussiamo alla porta delle proposizioni complesse. Scriviamo osservando un altro noi che scrive come se scrivesse di un altro ancora. Io oggi voglio scrivere semplicemente scrivere. Voglio scrivere di quando mi trasformo in un abile stratega per combattere la bugia che mi ingabbia il cervello e la vita. Lo chiamano Dap. Disturbo da attacco di panico. Siamo così abituati a confrontarci con le ombre del nostro corpo ma scappiamo dinanzi a quelle della nostra anima. Siamo come quei sub esperti che sanno bene quanto in talune circostanze sia bene rimanere in superficie perché addentrarsi in certi anfratti può far paura anche ai più temerari. Dinanzi ad un pericolo esterno reale il nostro istinto ci suggerisce due possibilità: scappare o affrontarlo. Questo non accade se il pericolo è interno e immaginato. Una bugia. La bugia che tu combatti con altre bugie, cercando prospettive di fuga, trovando abilissimi stratagemmi per eludere il problema. Svicoli. Dribbli. Organizzi la tua vita in modo tale da fregare l’avversario. Cerchi strade alternative il cui percorso ti rassicuri. Ma quella frustata arriverà comunque, quando me no te la aspetti, quando non ci sta, quando non deve, quando non sei pronta. E’ un crack dell’anima. E non c’è fuga che tenga in quell’istante. Perdi le coordinate spazio temporali. Una scossa tellurica cerebrale il cui l’epicentro è la paura. Io non so più che significhi uscire per strada da sola. Mi sento come se mi avessero amputato le gambe. Ma le ho le gambe. Mi sento come se mi avessero chiusa in gattabuia e condannata innocente. Ma sono libera. La paura è una stronza egocentrica, non vede altro che se stessa. Ed io inizio ad averne le scatole piene. Ed è ancora presto per dire..questo è quel che resta di me.

4 mar 2009

Io vs Me












Vagabonda tra le note di un’astenica sinfonia.
Tra gli scantinati della precarietà.
In cerca del crocevia tra il contrattacco e il fatalismo.
A ridere dei miei alibi.
A cercarmi senza successo.
Poco accorta da non schivare le barriere dell’utopia.
Con pensieri funamboli e acrobati che si avvalgono della facoltà di non rispondere.
Fuori tempo e fuori rotta, Sempre, comunque e nonostante. Echisenefrega. :)

A volte mi viene da pensare che forse, se Socrate fosse vissuto oggi,
invece di "Conosci te stesso" avrebbe detto: "Conosci l'alieno che è in te".
Luce d'Eramo, in Io sono un'aliena, 1999

19 feb 2009

Radicali Liberi



La mia è una stagione dove i dubbi mettono radici e le certezze diventano schizzi di cui sarebbe troppo fantasioso prevederne la forma finale.
Dove la concezione che si ha di sé sta alla nostra pelle come il prurito di un orticaria.
Dove i pensieri da condividere sarebbero tanti ma uno strano pudore li mortifica nel momento di tramutarsi in parole.
Dove cerchi un non so che con la virtù di aprirti nuovi orizzonti e frantumare le consuetudini.
In mezzo.
Ad un passo dalla consapevolezza ed uno dalla follia.
Mentre tutto accade, niente accade.

"Il tempo guarirà tutto. Ma che succede se il tempo stesso è una malattia?!"
Da : Il cielo sopra Berlino

9 feb 2009

Che ci faccio qui?







E’ bella la mia città. Questo penso mentre attraverso il lungomare con le sue alte mura e m’inoltro nel borgo medievale. Ricordo che un tempo mi piaceva vivere qui e lo pensavo con orgoglio. Forse allora mi sentivo a mio agio pure con i suoi abitanti. Forse era così perché allora ero una di loro. Poi decisi di andarmene. Non era una fuga la mia. Era un andare per continuare, per cercare. Non ricordo quando e perché questa città divenne una nemica. Ma lentamente il senso di estraneità si trasformò in un divario insanabile. Forse è una questione di linguaggio. Si parla la stessa lingua ma è come se si parlassero lingue diverse. Oggi sono qui perché così ha deciso la vita ed io con lei. O forse è solo il buonsenso che ha deciso per noi. Ed io non so farmene una ragione. Non mi piace questo scenario e non mi dicono niente questi visi. Non hanno odore, sapore. Non hanno storia. Nessun intreccio, nessun vissuto. Non per me almeno. Ma questo non è un teatro dove puoi alzarti e andare via. E non puoi neppure sfiguralo o smembrarlo perché la tua rabbia ha bisogno di un capro espiatorio. Devi lasciarlo intatto. Forse è arrivato il momento di scegliere davvero dove stare. Forse anche di restare. Forse.

Ci sarebbe stata un’altra Isola per ripararsi, riposare ed amare. Quell’orizzonte sarebbe sempre stato lì, un invito ad andare… ( Una ballata del mare salato. Hugo Pratt)

22 gen 2009

Movimento lento


Mi piace alzarmi piano dal letto, guardare dalla finestra senza l’incubo dell’orologio che corre, camminare piano, pensare piano, respirare piano, sedermi senza riflettere su quello che dovrò fare tra dieci o cinque secondi. Mi piace immaginarmi accoccolata sulla riva di uno stagno d’estate. Fa caldo, così caldo che non si muove una foglia, non c’è un alito di vento, la superficie dello stagno è ferma, come la mia anima. Non c’è un suono, sulla torpida e immota acqua nella calura estiva, sembra di trovarsi fuori dal mondo. I tempo si è fermato e io non sento la necessità di accelerarlo di nuovo, non ho l’obbligo di fare niente, mentre sono accoccolata sull’erba bassa in riva allo stagno, nemmeno di essere intelligente. E’ bello non avere l’obbligo di essere o sentirsi intelligente.
Non ho voglia di essere sempre eccellente ed efficiente. Perché stare in balia di desideri e stati d’animo che ne impediscono il realizzarsi può essere sfiancante. La volontà non sempre è sorretta dalla forza. Allora ti siedi sulla giornata che scorre lenta. Osservi, pensi, ti muovi piano. Restituisci grazia e dignità agli attimi.

Scegli la lentezza.

10 gen 2009

Busso io? No tu no!


- Hai preso il biglietto per il concerto di Guccini a Roma, Cleide?
- No, Capitano, erano già esauriti e dire che avevo un volo da Alghero per soli venti euro. Che sfortuna, ci tenevo molto a vedere Guccini.
- Non c’è nessun problema, se lui non viene da noi andremo noi da lui.
- Che intendi dire?
- Scusa, non hai detto di sapere dove abita il cantautore modenese? Non era uno di quei paesini emiliani dove la gente si ritrova nelle osterie a giocare a tressette col morto? Non hai detto che se bussi alla porta di Guccini, lui ti apre e ti invita pure a entrare a casa sua?
- Vorresti bussare alla porta di Francesco? Tu sei pazzo non ne avrò mai il coraggio!
- Lo faccio io per te. Perché non dovrebbe essere ospitale con due suoi fan come noi?
- Che diavolo dici? Io sono una sua fan, tu di Guccini conosci solo qualche canzoncina di terza mano captata qui e la.
- Non stare a sottilizzare. Sul cantautore modenese tu ne sai a sufficienza per tutti e due. Allora ci stai? Andiamo lì, lo conquistiamo con la nostra parlantina e ci facciamo suonare pure qualche pezzo da Cyrano o da Don Chisciotte.
- Sì, e magari tu gli fai gli sciummpa-pah di sottofondo agitando il culetto! Che ti salta in mente? Noi siamo le persone meno dotate di parlantina sulla faccia della terra. E tu hai la chiacchiera libera solo quando inveisci contro qualcuno o qualcosa. Vuoi andare a casa di Guccini a imprecare contro le raccomandazioni alla Rai o contro la stupidaggine dei film che ti scarichi da internet? Magari lo convincerai a cantarti “L’avvelenata” prima di farti spaccare la chitarra in testa.
- Sei sempre così negativa. Sono sicuro che ci farà entrare a casa e ascolterà ciò che abbiamo da dirgli. Parli tu che sei più simpatica e poi ti sei pure sciroppata tutti i suoi romanzi e i suoi saggi di dialettologia emiliana o quello che erano. Poi intervengo io con la mia canzone. Magari lo convinco pure a cantarla e portarla al successo.
- E questa da dove è uscita fuori? Tu non hai nessuna canzone da proporre a chicchessia. Anzi tu non sai suonare nemmeno le pentole antiaderenti o la caffettiera Bialetti da sei tazze.
- Come ti sbagli! La canzone ce l’ho. Si chiama “Amore in caduta libera” e l’ho scritta per quella tizia di Tiscali.
- Quella pazza che giurava di conoscere un direttore d’orchestra che aveva suonato per papa Wojtila ed era follemente innamorato di lei? Questa sì che è una referenza coi fiocchi.
- Forza, andiamo da Guccini, tu gli parli del più e del meno, gli citi qualche suo verso facendo gli occhioni sognanti, gli dici che è un genio e fai quasi la faccia delle ragazzine che svenivano ai concerti dei Beatles e poi intervengo io con la mia canzone.
- Posso fare Oh yeeeaaahhhh in chiusura con una smorfia sarcastica del viso?
- Certo, fa oh yeaaahh, fa oh bleeeaaahhh, fa oh meee-aaaahhhh e andiamo a bussare alla porta di Guccini.

22 dic 2008

Pensierino di Natale


Mi sveglio la mattina con la voglia di scappare.
Oggi più di ieri e domani ancora.
Stessa storia. Senza inizio né fine.
Solo la costante, irrefrenabile e mai doma voglia di scappare.
Da queste pareti che mi fissano beffarde.
Da queste voci piene di niente che si insinuano invadenti in una mente che non le vuole sentire.
Da queste strade dove non esiste un cartello che indichi pace.
Da me che continuo a girare intorno pur vedendo il centro.
Rumore. Frastuono. Niente.
Ed io che sono niente. Ma lo so.

3 dic 2008

Emma non Emma



Emma che va pazza per le borse, ne compra a decine, ne regala a decine e ne ricompra quanto più le consentono le tasche.
Emma che ha freddo freddo d'inverno e caldo caldo d'estate, che ride ride quando è allegra e piange piange quando è triste.
Emma che ha letto tutto sulla Resistenza e che non si è laureata solo a causa di uno dei suoi colpi di testa.
Emma che si siede a tavola tutta perfettina e mangia perfettina, che fa sforzi inauditi per non alzare il mignolo quando beve dalle tazzine di caffè.
Emma che invidia una ragazza con un abito ottocentesco che legge Jane Austen sul lungomare nel via vai di sciatti turisti in zatteroni e bermuda color vomito.
Emma che corre alla stazione a salutare quello che crede essere l'unico amore della sua vita, con il piccolo particolare che l'unico amore non sa nemmeno che lei esiste.
Emma che si dà arie da dura, legge poesie d'amore di nascosto e non sa che farsene dei sogni a occhi chiusi.
Emma rompiscatole che si infervora come una divetta degli anni Cinquanta o una maestrina idealista d'altri tempi.
Emma innamorata capace di buttarsi senza rete da un ponte più alto del cuore matto di Little Tony.
Emma che non si lagna mai di niente con gli altri e che ascolta gli amici lagnarsi di tutto e soprattutto dei loro noiosissimi amori.
Emma che si commuove per la morte di un cane avvelenato anche se è avvenuta vent'anni fa.
Emma che si lava i capelli a ogni pie' sospinto.
Emma che scende da una scala di albergo con un coraggio da leone perché a scendere certe scale tremerebbero le gambe pure a guerrieri omerici.
Emma che in realtà forse si chiama Monica e che magari sarebbe dovuta vivere in un altro secolo.
Emma stupida, Emma retorica, Emma isterica, Emma avventata, Emma cocciuta, Emma bambina, Emma ombrosa, Emma gelosa, Emma come ce n'è una: Emma che non puoi dimenticare.


Post scritto da Mio Capitano

19 nov 2008

Un fuoco per amico




Può darsi che io non sappia cosa dico
Ho scelto te un fuoco per amico..
Il fuoco che arde in un camino, come un'entità invisibile ma di cui percepisci l'essenza, riempie la stanza..
Il calore che emana e il crepitio delle braci suscitano una suggestione tale che la percezione dell'ambiente intorno a te cambia. E cambi tu che osservi e cogli questi attimi. Ti accorgi che la solitudine ti appare più amica e i tuoi pensieri perdono rigidità e si ammorbidiscono. E in questo obnubilamento ti istupidisci al punto tale che pensi al Natale. Pensi che l'inizio di una nuova fase della tua vita e una nuova casa meritino pure un albero di Natale. Pensi che il tuo Natale Perfetto è ancora lontano, ma forse lasciarsi andare ad un innocuo albero non ti farà poi così male e magari sarà di buon auspicio. Pensi che passata la finzione della festa con i tuoi, farai le valigie per vivere il tuo personalissimo e intimo natale con chi ti fa sentire di essere nell'unico luogo che possa contenerti e trattenerti. Pensi che in fondo non c'è ostacolo insormontabile che non possa essere superato con la pazienza, la tenacia e il buonsenso. Pensi..pensi che dopo il tè alla nostalgia sei incappata nel camino dai pensieri rasserenanti..
Foto mia

10 nov 2008

Un tè? No grazie!




Mi chiedo se possiamo essere suggestionati da ciò che beviamo. Può il rito del the, con il suo aroma avvolgente e suggestivo, suscitare pensieri che ne richiamino le sue caratteristiche? Mi spiego: se bevo una birra, fresca, frizzante e spumeggiante, so per certo che piega prenderà la serata.
Ho bevuto con un amico un tè alla nostalgia. Quest'aroma non è in commercio, per fortuna, quindi non cercatelo.
Ci sono momenti della nostra vita che scivolano via dalla memoria lasciando dietro di se solo un orma leggera in uno sperduto angolo della nostra mente. Momenti che, complice lo scorrere del tempo, si dimentica persino di aver perduto. Altri che, se scoperti, potrebbero devastarti. I miei ricordi sono rami secchi, colture interrotte, semi che non hanno germogliato. E la bellezza e il calore che rimane fa solo male perché esiste in funzione delle sue connessioni. Ascoltavo il mio amico crogiolarsi nella nostalgia e nei ricordi ed era evidente il calore e la tenerezza che in lui suscitavano. Ma a tratti i suoi occhi lucidi tradivano una qualche sofferenza. Credo che non sia carino affermare che la tentazione di mollare lui e il the in quel locale è stata molto forte. Io non amo il profumo delle madeleines. Il profumo dei ricordi che ti prende alla gola a tradimento e ti stordisce. La grazia di un ricordo porta inevitabilmente con se pure la dannazione di ciò che non esiste più. Io ho un cervello addestrato alla difesa. Quando mi chiudo una porta alle spalle, questo va in corto circuito e distrugge tutto. Bruciato, cenere, morto e sepolto. I ricordi non sono come le onde che esigono il ritorno. Se ne può fare a meno del ritorno. Io ho bisogno di farne a meno per non fermarmi

14 set 2008

Pensieri con(nessi)

Frequentavo il ginnasio e il mio professore di materie classiche, uomo colto e di vivace e arguta intelligenza ma serioso come pochi, quando mi osservava ridere, mi apostrofava con questa frase in latino: il riso abbonda nella bocca degli sciocchi. Ricordo che allora, qualche compagno di classe, di quelli intelligenti, studiosi, ossequiosi, mi rivolgeva uno stupido sguardo di compatimento. Chiaro che io non mi sentissi affatto sciocca e chiaro è che quegli sguardi non ottenevano altra reazione che farmi sgorgare una successiva risata. Oggi mi è ritornato alla memoria questo insignificante episodio e una domanda è sorta spontanea. Mi sono chiesta se il senso di inadeguatezza che molte persone , inclusa me, si sentono addosso come fosse una seconda pelle, scaturisca da episodi apparentemente insignificanti, spontanei o mirati che siano, ma volti a bloccare le nostre più naturali inclinazioni e sensazioni. Io mi soffermo su una banalissima risata, ma il discorso potrebbe essere vario e vasto. Come quando ti invitano a controllare la bella l'emotività a favore della triste e noiosa razionalità.
Non so da dove scaturisca questa riflessione oggi. Forse perché stanotte mi sono svegliata varie volte, ricordavo i sogni fatti e non erano sensazioni positiva. Forse perché sono scesa dal letto con un groppo in gola e delle lacrime silenziose che mi rigavano le guance e con la sensazione che qualcosa di fastidioso si fosse messo tra il cuore ed il cervello (e non era un rospo). Forse perché un giorno capita che esci per strada e ti senti addosso tutta la positività e l'energia di questo mondo e ad un certo punto accade qualcosa. Ti fermi e non riesci più ad andare avanti né indietro. Davanti il baratro e dietro la salvezza. Forse perché per lungo tempo sei andata avanti come un gatto che insegue giocoso una matassa di filo di lana e non si accorge che gli si è attorcigliata tra il capo e la coda. Forse forse forse. Senza forse devo ascoltare le mie paure. I forse sono come le risate, camuffano la pesantezza della realtà e dei pensieri, ma come le risate, talvolta possono essere ingannevoli e inopportuni.
Intanto il cielo è sempre più blu...

7 lug 2008

Appunti

Dobbiamo continuare ad avere il caos dentro di noi, per fare nascere una stella danzante, scriveva Nietzsche.
Si dice che i vent’anni siano gli anni della libertà, i trenta quelli dell’audacia, i quaranta quelli del senno. Nel mio caso qualcuno deve essersi divertito a non dare le carte buone nel momento giusto. A quaranta l’audacia mi ha inghiottita, la libertà si è palesata nel senso più pieno e la saggezza la coltivo a piccole dosi. Non mi pongo più tante domande. Non so se questo sia grave, ma a me fa star bene. Sono padrona della mia vita, del mio tempo e delle mie cose. Ritengo questo un privilegio e un dono. Ricercato con costanza e non senza patimenti. Amo quello che ho e amo me stessa. Non desidero più quello che non posso avere. Ho scoperto che i tesori non si cercano, si trovano. Ora sono in pace e ho capito che l’unica cosa che mi riesce bene è reinventarmi e ricominciare. Con la voglia d vivere tra le mani.

7 giu 2008

Di ulivi, di vita e di altre sciocchezze

Nel mio giardino c'è un ulivo selvatico. E' cresciuto spontaneo. Lì, proprio lì, all'ingresso del viale, di fianco al mio cancello. Questo significa raccogliere i fiori quando cadono, le foglie quando l'albero le perde e quelle dannate olive che macchiano i lastroni di viola quando ci cammini sopra. Sono tre mesi che perdo il mio tempo dietro questo bellissimo e dannato albero. Mi dico che è ora di smetterla con questa mania dell'ordine, della pulizia e della perfezione a tutti i costi. Mi conduco per casa come se all'improvviso potessi ricevere la visita della regina Elisabetta. Mica è normale che a mezzanotte, dopo essersi lavata i denti, una prenda spray e strofinaccio per pulire il lavandino. Talvolta penso che questa mania e questa attenzione avrei dovuto applicarla alle cose serie e importanti della vita. Ma tutto ciò che è serio e importante per gli altri non lo è per me. Ognuno ha i propri meccanismi per coltivare l'impegno di vivere. Il mio unico impegno è vivere. Con allegria e leggerezza. Altro modo non conosco.
Ad un mio professore dell'università che a 40 anni, proprio come me, capì che doveva cambiare la sua vita e seguire solo le proprie regole chiesi: lei cammina per strada come se volasse. C'è una ricetta? E lui: fai sempre quel cazzo che ti va di fare.
Credo di aver eseguito la ricetta alla perfezione. Anzi, forse con quel pizzico di lievito in più.:)

28 apr 2008

Je accuse

Verrà il giorno in cui la mia rabbia sarà un boato che vi scuoterà alle radici
E allora il mio silenzio di ora vi cadrà addosso rovinando sulla vostra quiete.
Perché voi vivete perché io taccio
Andate avanti perché io vi ignoro
Pieni di voi perché io vi risparmio.
Verrà il giorno in cui io parlerò e voi tacerete.
Per sempre.

Dedicato a..
coloro che preferiscono raccontarsi una bella bugia piuttosto che affrontare una scomoda verità
Ho vinto io.
Perchè mai, neppure per un secondo, mi sono allontanata da me stessa.
Perché mai vi ho permesso di mettere il piede nel mio territorio
Perché mai ho messo in dubbio le mie verità
Perchè non ho mai smesso di cercare la mia strada.
La vostra meschinità è stata la mia forza.
Ho vinto io.
Ed ora, se permettete, tiro la catena

Profumi

La primavera è il profumo delle nespole. Le nespole gialle e mature, il profumo dell'infanzia. Amo questo profumo e tanto l'amo quanto mi inquieta.
Mi inquieta il ricordo di immagini di serenità, di corse, di giochi spensierati e di caldi abbracci spontanei e assoluti.
Il colore, il sapore e il profumo di un'età pulita, incontaminata.
Un'età nella quale il male era riconducibile all'immagine di un personaggio dei fumetti o alla strega che porgeva la mela avvelenata a Biancaneve.
Un'età dove l'amicizia era un timido "ciao, vuoi giocare con me".
Un'età che ti faceva apparire belli, perfetti e immortali tuo padre e tua madre.
Dove il futuro era l'attesa del natale, l'estate, il giorno del tuo compleanno, i quaderni nuovi e profumati del primo giorno di scuola.
Mi inquieta il profumo delle nespole. Come tutte le cose perdute. C'è sempre qualcosa che salta fuori all'improvviso a ricordartele. E tu non puoi far niente.
Non puoi chiudere la porta al profumo delle nespole.

Ringrazio il mio poderoso rosmarino, la fedele salvia, l'impetuosa menta piperita e il placido e imperituro mirto che, fedeli e leali , mi aiutano ogni primavera a liberarmi di queste stronze

9 apr 2008

A volte





E' che a volte mi sento persa. Non so dove andare.
Non so se devo nascondermi o rifugiarmi o andare.
Andare in un luogo dove sono solo un volto di passaggio .
Dove nessuno parla la mia lingua.
Un luogo dove camminare senza gli occhiali scuri.
Senza passato, senza futuro.
Un luogo dove esiste solo l'istante.
Tanti istanti, uno dopo l'altro.
Senza memoria. Senza direzione.
Un luogo dove puoi portare a spasso la tua anima sospesa.
Perché anche realizzare i tuoi sogni può essere una prigione.
Ed io ho sempre bisogno di nuove pagine bianche.

10 mar 2008

Del ricordo di me


Ho aperto una scatola e all'interno vi ho trovato due fari e una barca a vela in legno. La mia casa è finalmente terminata e dopo aver vissuto per tre mesi a casa di mia madre, oggi ho iniziato timidamente a riprendere il contatto con la mia vita interrotta. E' strano, stai tanto tempo senza gli oggetti che ti sono familiari, il contorno inutile della tua vita , ma un contorno che ti scalda. E quando li ritrovi sembra non appartengano a te ma ad un altra persona. Una sensazione di confusione si è impossessata di me in quel momento. Un'emozione antica e perduta che torna prepotentemente a farsi sentire. Mi sono ritrovata, in un istante, in una sorta di sospensione temporale. Rivedo me e la mia amica Laura. Io incantata davanti a quella barchetta e lei che mi incita ad acquistarla. Vedo me che rientro a casa e felice cerco una collocazione per quell'oggetto. Ho fatto scorrere per qualche secondo il polpastrello sulla superficie della barca a vela persa in pensieri lontani. In momenti in cui un oggetto appagava la vista e il cuore. All'improvviso mi sono scostata dai miei ricordi e mi sono vista ferma in cucina con quegli oggetti in mano e ho riso di me stessa. Ho provato una strana ed intensa emozione a rivedere questi oggetti dopo tanto tempo. Mi è sembrato di aver messo da parte un pezzo di me. Un pezzo di me che ora però ha un significato ed un valore diverso. Anche una tazza, una semplice tazza , quella con la quale facevo colazione, regalo di una cara amica, ora mi pare diversa. Ora mi pare che questi oggetti possano avere la loro giusta collocazione. Su un mobile, in cucina, in libreria o ancora in una scatola. Ma non scaldano più la mia anima. Perché altro è ciò che riempie la mia vita. Anche questa casa, che è mia e solo mia, è solo un contenitore e nulla più. Qui ci sono io, ora, il mio passato custodito nel mio cuore e una vita davanti a me. Fuori da qui. Ho pure una fifa boia, ma questa non la posso chiudere in una scatola.:-)

16 feb 2008

Gli occhi dell'amore


La bambina guarda la goccia d'acqua che scorre sul vetro della sua stanzetta. Fuori piove. Le stille inclinate d'acqua si tuffano in pozzanghere illuminate dai lampioni creando effetti suggestivi. Il crepitio della pioggia è come una musica che ti spinge a fantasticare. Lo stesso fanno i fischi del vento e i coni di luce delle auto che sulla strada laggiù rischiarano scrosci d'acqua come riflettori di teatro. Cosa farò da grande? si domanda la bambina. Che lavoro farò, come mi vestirò, classico o sportivo, metterò perline anni Cinquanta o piercing, quali persone frequenterò e, soprattutto, conoscerò pure io quella cosa di cui si parla dovunque, nei film o nei talk show televisivi? Conoscerò l'amore, quello vero, quello che ti stringe qui dentro, quella cosa che rende ragazze e signore così svagate e allegre, che dipinge i loro visi del colore della pesca matura? E gli occhi! si dice la bambina guardando la goccia d'acqua che scivola sul vetro inglobando altre stille sul suo cammino, ora rallentando e ora accelerando. Avrò pure io gli occhi luminosi che hanno le ragazze più grandi quando parlottano sottovoce del loro lui con le amiche, mezzo invidiose e mezzo ammirate? Voglio avere pure io quegli occhi. Devono essere grandi e lucidi, con le pupille dilatate, e voglio che magari splendano nell'oscurità come quelli dei gatti. Quanto tempo dovrò aspettare? La ragazza della porta accanto ha solo quattordici anni e ha già gli occhi giusti. Quando ti guarda si illumina tutta. Voglio pure io gli occhi dell'amore!

La goccia di pioggia ormai ha completato la sua discesa sul vetro della finestra, ma ce ne saranno altre. "A che stai pensando, cara?" domanda una voce dalla cucina.

"A quando sarò grande, mamma", risponde la bambina alitando sul vetro. Nella porzione di vetro appannato, disegna col dito un paio di occhi mentre sorride.

Post scritto da Mio Capitano

9 gen 2008

Sarà che..

Sarà la fase premestruale e gli ormoni che ballano l'hip hop, ma in questi giorni di inizio anno il mio umore era più nero del nero di seppia.
Sarà che ora vivo in una bella e ridente cittadina che farei sparire dalla carta geografica con tutti i suoi abitanti. Ma venite a visitarla perché ne vale davvero la pena.
Sarà che i lavori della mia nuova, prima e unica casa procedono a rilento ( e meno male ..che ho la testa più bucata di un colabrodo e farei un falò di muratori, elettricisti e idraulici).
Sarà che non me ne frega una mazza della decorazione della cucina intonata alla piastrella che, a sua volta, non è intonata con la cucina che ho acquistato, perché quel giorno mi rifiutavo di perdere tempo con queste stronzate.
Sarà che ero terrorizzata all'idea di ritornare da mammà ( anche se per poco) ed ora sono terrorizzata all'idea di andare via ( almeno qui la sera qualcuno rientra).
Sarà che sto cercando un inventore pazzo che elabori per me un marchingegno da applicare alla porta di casa, che quando la apri ti dica: Ciao. Bentornata. Come è andata oggi? Il bello è che l'ho pure trovato. Ma io volevo pure un sorriso ed un abbraccio. Mi ha detto che nun se po' fa. Voi sapete per caso se esistono ancora quei cagnolini a batterie che fanno due passetti, scodinzolano e fanno bau? Così non corro il rischio che qualcuno me l'ammazzi.
Sarà che ho vissuto da cane sciolto ed ora voglio vivere da persona che ha bisogno dell'altro. E mica è facile ammetterlo per me. Anche se non ho ben capito come si fa.
Sarà che sto imparando a cavarmela da sola. Viaggio pure da sola senza attacchi di panico ( le panchine e i marciapiedi ringraziano) e vado, torno, rivado e ritorno..che del doman non v'è certezza.
Sarà che ho un cuore che batte e che ancora riesce a far battere quello degli altri.
Sarà che ho amici ( reali e virtuali), presenti, caldi e rassicuranti, nel bene e nel male. Che mica è scontato.
Sarà che ho una madre e due fratelli che non saranno perfetti ma ci sono. Perché neppure questo è scontato.
Sarà che oggi ho pensato che (forse) non ho quello che desidero ma (certamente) ho più di quello che altri si sognano di desiderare.
Sarà che non a tutti è concesso di ricominciare da capo con dignità e avere la speranza di mantenere quello che si ha.

20 nov 2007

In fondo all'anima cieli immensi




Mio Capitano. Cielo grigio su, foglie gialle giù, zaino in spalla e tanta voglia di lei, madama avventura. La domanda non è se, ma dove. Non se abbiamo fantasticato un giorno - quando in testa avevamo più sogni che capelli - di piantare tutto e inseguire i capricci della nostre mente smaniosa, ma dove desideravamo andare.
Per me la risposta è semplice. America. La sola America possibile, quella del West, del detective Marlowe e di Hollywood, ossia dell'unico posto al mondo, lo pensavo tanto tempo fa e lo penso tuttora, in cui il cinema diventa talvolta magia. C'era un tempo in cui mi vedevo aggirarmi per le lunghe autostrade del West, in mezzo ai grandiosi paesaggi che facevano da sfondo ai film di John Ford, o vagare tra i grattacieli di New York a naso in su, sperando di cogliere le capriole dell''Uomo Ragno alle prese con la perfidia di Elektro, Octopus o Goblin padre. Idolatravo l'America, anche se ne vedevo i difetti. Egoismo, arrivismo, magnati succhiasangue, scandali politici e guerre sbagliate. E però c'erano pure l'idealismo di Kennedy o del New Deal, i movimenti dei diritti civili, le rivolte universitarie, la contestazione alla guerra del Vietnam, il rhythm & blues.
Ebbene avevo e ho tuttora una zia in America. Per molti anni il fatto di poter contare nella mitica New York di una base in cui farmi ospitare ha scatenato la mia immaginazione. Davo per certo di far visita un giorno alla mia parente, magari in compagnia di amici con cui mi sarei poi avventurato in un attraversamento da costa a costa fino a Los Angeles. Mi vedevo arrivare zaino in spalla nelle cittadine del West e fare colpo sulle procaci ragazzone americane con la mia zazzera partenopea e la maglietta arrotolata sulle robuste braccia abbronzate. Certe volte ho proprio sognato di notte di andare a casa di mia zia, di muovermi da solo per le strade di New York. A quel tempo mi informavo quasi ogni giorno sul costo del biglietto aereo per una trasvolata oceanica. L'ho trovato sempre ben superiore alla capacità delle mie tasche, anche quando c'erano offerte e sconti. Poi un giorno ho smesso di pensare al costo del biglietto aereo. Semplicemente sapevo che non sarei andato più in America. E anche se ci fossi andato, la mia vacanza non sarebbe stata mai quella vagheggiata da adolescente. C'era un tempo per ogni cosa e quel tempo era passato. Ci sono molti sogni nella vita. Solo pochi si realizzano. Be', non si può avere tutto e forse è bene che sia così.
Cleide. Io non ho avuto la zia d'America, ma voglia di avventura tanta. Sogni grandi come case e coraggio e forse sconsideratezza da vendere. Colombia, Perù, Cile per arrivare in Patagonia. Tutta l'America latina. Il Messico, i paesi centroamericani. Nella mia mente solcavo nazioni come se fossero strade. Forti le gambe e ancora più forti i sogni. Però mi vedevo con il mio fedele zaino in spalla soprattutto sui terreni accidentati del Cile, in mezzo alle andine facce scolpite dei discendenti incas, su montagne dove il tempo pareva essersi fermato insieme con le tue angosce. Sapevo di avere la forza e l'ardimento necessari per percorrere il continente sudamericano da cima a fondo, magari accompagnata dalle struggenti melodie degli Inti llimani o dalla voce unica Violeta Parra che ringraziava la vita al mio posto per avermi condotto in terre dove il cuore degli uomini batte più forte.
Non so da dove nasca la mia passione per l'America latina. Magari dal fatto che il solo dialetto parlato nel mio angolo di Sardegna è la lingua catalana. Magari dal fatto che ho mangiato pane e spagnolo fin da quando ero alta così. Spesso penso che in un'altra vita quel lontano continente mi apparteneva. Forse sono stata una sacerdotessa maya o un'umile lavandaia azteca, chissà. Sono tuttora iscritta al sito di Gianni Minà e niente mi rende più felice che impossessarmi dell'ultimo libro di Isabel Allende, Angeles Mastretta e Marcela Serrano o crogiolarmi al caldo e luminoso canto di Gloria Estefan.
Ricordo l'emozione di quando il mio professore di letteratura spagnola e ispanoamericana - un romanzesco personaggio peraltro amico fraterno di Pablo Neruda - mi presentò Luis Sepulveda. Mi trasformai in un attimo in un'ebete a bocca aperta. Qui davanti a me c'era questo straordinario essere dallo sguardo magnetico che mi fissava di tanto in tanto come se mi conoscesse. E qui pendeva dalle sue labbra una fanciulla pietrificata che si chiedeva se avrebbe mai riacquistato il dono della parola. Sepulveda parlò a me e ai miei compagni di corso di suo nonno Gerardo, un anarchico Andaluso fuggito in America latina per scampare a una condanna a morte. Ci disse di quand'era guardia personale del presidente Allende. Dio mio, quell'uomo era stato a braccetto con Allende, era stato arrestato durante la dittatura di Pinochet subendo le infami torture il cui ricordo echeggiava in quell'aula universitaria sassarese! La storia siamo noi, cantava De Gregori. Può darsi, ma la storia per me quel giorno era soprattutto quest'uomo placido che aveva visto in faccia una delle peggiori dittature del secolo e non aveva avuto paura. Ho ancora il romanzo Il mondo alla fine del mondo con una sua bellissima dedica, scritta dopo chiacchiere, caffè e tequila.

1 nov 2007

Cuor di Cirano. Cuor di Guccini


Mio Capitano. Partiamo con due affermazioni per nulla scontate: Guccini mi piace e mi piace pure come canta. Non credevo che un giorno avrei detto cose simili perché ai tempi del liceo vedevo l cantautore modenese come fumo negli occhi. Mi pareva un interprete lagnoso, uno di quei beccamorti musicali che si sarebbero meritati di essere presi a chitarrate in testa come fa il mitico John Belushi in Animal House. Bastava l'eco del suo vocione per farmi scappare lontano.Poi un giorno mio fratello il musicista - ha suonato il basso in qualche gruppetto musicale - portò a casa un doppio cd di Guccini registrato dal vivo. Io subito storsi la bocca ironizzando sui gusti musicali del consanguineo. Però accadde un fatto strano. Mio fratello all'epoca aveva l'abitudine di ascoltare la musica a volume altissimo, per cui anche se sprangavi due o tre porte tra te e lo stereo ascoltavi perfettamente ciò che non volevi ascoltare. Di conseguenza fui costretto ad accorgermi che molte delle canzoni del doppio cd mi piacevano. Ricordo ora "Dio è morto", "Canzone per un'amica", "Il vecchio e il bambino" e tante altre.Notai un particolare a me ignoto in quell'occasione. A dispetto di ciò che avevo sempre creduto Guccini aveva nel suo repertorio anche canzoni romantiche, spesso trattate con una profondità di sentimenti e una sensibilità di cui non credevo capace il cantautore emiliano. La canzone in assoluto che mi conquistò fu "Cirano". Rimasi più che stupefatto quando mi accorsi che nella registrazione dal vivo le parole di Guccini erano accompagnate da un coro di ragazzine e signore innamorate, in un modo non molto diverso da come si sarebbe fatto a un concerto di Eros Ramazzotti o di Claudio Baglioni. Adoro "Cirano" (con la i come lo scrive il cantautore modenese), ma la adoro soprattutto in quella versione dal vivo.Guccini a mio vedere è bravo, ma diventa irraggiungibile quando tratta temi riguardanti eroi maledetti e soli, erranti cavalieri incompresi che combattono contro i mulini a vento sferzando ipocrisia e conformismo dilaganti. E' bravo, Francesco, quando parla di una "ragazza bionda senza averne l'aria", "filosofando pure sui perché", ma è un gigante, il più grande gigante della canzone italiana, quando veste i panni di Cirano ("Io sono solo un povero cadetto di Guascogna / però non la sopporto la gente che non sogna") o di don Chisciotte (colpirò con la mia lancia l'ingiustizia giorno e notte / com'è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte...). Guccini è questo, l'eroe letterario e sfortunato che si innamora delle cause perse e delle donne sbagliate. L'eroe crepuscolare che fa sentire te eroe. E ora passo la parola a Cleide, che sull'argomento Guccini ne sa molto più di me e di quasi ogni altra persona in questi paraggi.
Cleide. Mi lusinghi Capitano, ma sono solo una povera cadetta di Sardegna, con un debole per la gente leale e degna come il cantautore dell'Emilia Romagna. Non so se sarò capace di scrivere di Guccini nel ristretto spazio di un post. Questo perché il mio interesse per il Cantastorie Francesco, come ama essere definito, non è solo discografico, ma abbraccia la sua ventennale attività di narratore e romanziere. Infatti, anche se non è noto a tutti, l'ex Avvelenato della canzone italiana ha scritto molto. Dai gialli, prodotti in collaborazione con Loriano Macchiavelli, ai racconti sulla sua Padania, terra da non intendersi assolutamente in senso leghista, alla dotta trattazione degli idiomi galloitalici che fanno da sfondo alla sua produzione narrativa. Il filo conduttore della produzione artistica gucciniana è la memoria, l'ancoraggio alle sue radici culturali, la tradizione popolare. In ogni caso mi affascina l'uomo, con la scorza di saggio montanaro, che si dimostra profondo conoscitore di vita e di esperienze senza perdere il suo animo di bambino.Tuttavia, è nei concerti si impara ad amare realmente il cantautore modenese. Ad assistere ad una sua esibizione musicale si rimane sorpresi dall'età dei partecipanti, gran parte dei quali sono giovanissimi. Eppure Guccini è sulla scena da quasi quarant'anni. Ho assistito a diversi suoi concerti e ogni volta la sensazione è sempre la stessa, quella di andare ad incontrare un amico. Francesco è un grande affabulatore, dotato di un sense of humor tutto emiliano, dove l'ironia si unisce all'indignazione e talvolta all'invettiva, senza mai trascendere in banalità o volgarità. Un compagnone, il perfetto complice da osteria che ti arringa su donne e politica mentre mette giù un re di coppe, uno che se lo incroci per strada non esiti a fermarlo per fare due chiacchiere. Ho spesso pensato di andare a Pavana per incontrarlo, e forse, un giorno o un altro, lo farò. Mi piace il Guccini che tu citi, Capitano, quello degli eroi sfortunati e dei cavalieri erranti, mi piace quel pathos che ti fa sentire un brivido lungo la schiena, mi piace il Guccini di Ritratti: Piazza Alimonda, Ulisse, Che Guevara, Cristoforo Colombo. Ma spesso mi metto all'ascolto di pezzi dove l'attenzione è rivolta ai volti meno noti, gli sfigati, gli incompresi: il Matto, Cencio, il Frate, eroi a loro modo, gente che vive sopra il conformismo ma ne è spesso vittima. Mi piace anche il Guccini delle rare canzoni d'amore, cantate quasi con pudore e senza traccia di banalità. Il Guccini delle domande consuete, convinto che" fare domande sia meglio che azzardare risposte, perché interrogarsi presuppone ricerca, e a rispondere si rischia l'arroganza". In fondo, ha sempre senso cercare l'isola incantata, ma è necessario guardarsi bene dal non trovarla.
Questo articolo è anche da Mio Capitano.

29 ago 2007

Della paura e del coraggio







Che cos'è che fa i silenzi più ostinati..
Che cos'è che fa le camere più grandi..
I rapporti tra le persone sono complicati, come i corridoi di un labirinto,
dove si finisce con lo smarrirsi.
Quando si trova l'uscita è già troppo tardi, perché si è già imboccata un'altra strada.
Ho investito molte delle mie risorse lungo quei corridoi, ma non posso e non voglio tornare indietro. Ora indugio davanti all'uscita e mi fermo perché ho paura. Ma non potrò farlo a lungo.
E nel mentre attendo la notte per riposare, per placare le mie ansie, per coprirmi perché sento freddo. Passerà, so che passerà...lo ripeto a me stessa in vari momenti e con stati d'animo contrastanti. Con rabbia, con ilarità, con un pianto silenzioso, con smarrimento...niente di assurdo, tutto è dannatamente normale. Devo solo oltrepassare quella soglia.....e avrò comunque vinto la mia battaglia.
C'è una forza che giace addormentata dentro ognuno di noi e si desta quando sente quel richiamo , un richiamo che è per lei, solo per lei. In quel momento. Non prima, non dopo.
Non puoi non ubbidire a quel richiamo. Devi solo andare.

20 ago 2007

Piccoli scugnizzi crescono


Napoli è Napoli. Una città piena di vita e di contraddizioni.
Piazza Dante, ingresso di Port'Alba.
Tre ragazzini giocano a pallone a ridosso dell'ingresso della stazione della metro. Si avvicinano un gruppo di turisti pakistani. Fa caldo, sono stanchi. Le panchine sono occupate. Si siedono ai bordi della recinzione in vetro dell'ingresso della metro, nello stesso punto in cui i ragazzini calciano il pallone. Osservo. Penso che a quel punto i ragazzini decidano di rivolgere le loro pallonate altrove. Niente del genere. I tre iniziano a gesticolare chiedono ai malcapitati turisti di andar via...insomma loro stavano giocando. I turisti sorridono. Anche loro, come me, pensano che scherzino. Insomma, sei adulti stanchi e accaldati che si riposano....Niente del genere. I ragazzini iniziano a pallonare contro i poveri turisti come se nulla fosse. Quelli li guardano increduli, sorridono, ma poi capiscono che i tre fanno sul serio. Alla fine, stanchi, increduli e inferociti si alzano, urlano qualcosa ai tre scostumati che di rimando iniziano ad insultarli con frasi e gesti osceni e volgari. Sono allibita. Quelli non avevano paura di nulla. Quello era il loro campo da gioco, quello era il loro territorio.
Mi ritrovo spesso a pensare che oramai non mi sorprendo più di nulla. Non è vero.
Si parla di crisi dei valori tradizionali e non si può negare che ci sia, ma il rispetto dell'uomo per l'uomo è qualcosa che dovrebbe essere connaturato nell'essere umano.. così non è.
Il rispetto va insegnato e questo non sempre accade. E non sempre per colpa o difetto.
Il destino sembrerebbe segnato alla nascita, dalle condizioni sociali e ambientali. Talvolta può accadere che un fatto fortuito, un incontro casuale possa condurre una vita già segnata su binari più fortunati. Mi piace pensare che questo possa accadere anche a quei ragazzini....

25 lug 2007

L'Uomo che ride




Mario era un uomo solo. Aveva poco più di sessant'anni quando lo conobbi, ma l'alcool e la solitudine lo facevano apparire più vecchio. Era stato professore di filosofia all'università, scriveva poesie, parlava correttamente sette lingue, attento osservatore del genere umano e gran disquisitore e conoscitore dell'umano sapere.Aveva una ex moglie ed una figlia. Allora vivevo da sola e lui occupava il monolocale di fianco al mio. Mi colpì subito quest'uomo elegante e galante. Fu facile fare amicizia con lui.Ci incontravamo per le scale, un sorriso timido, poi il saluto e due chiacchiere. Lui andava a pranzo in una trattoria l' vicino. Un giorno lo invitai a passare a prendere il caffè da me. Quei pomeriggi diventarono una bella consuetudine. Tra il caffè, il limoncino e un pacchetto di sigarette si parlava di tutto. Mi aiuto con l'esame di glottologia e le iscrizioni etrusche. Abitavamo in vecchio palazzetto nobiliare, trasformato, per esigenze economiche del proprietario, in piccoli appartamenti. Il suo appartamento era identico al mio, ma nel suo si respirava un'aria di antico benessere. C'era un prezioso tappeto sul pavimento dell'unica stanza che fungeva da soggiorno e stanza da letto, dei preziosi quadri alle pareti,oggetti d'arte di stimato valore e una quantita impressionante di libri sparsi dapperttutto.
Una notte, rientrando a casa con due amici, ci venne l'idea di passare da lui per saluto. Ci aprì la porta, era un po' scomposto ma ci fece entrare ugualmente. Non era solo. Insieme a lui, scomposta anche lei, una tossica della zona, trasformatasi in prostituta per pagarsi la dose e per lenire la solitudine di qust'uomo. Facemmo finta di nulla, ci trattenemmo un po' ed andammo via.
Mario perse la testa per me e io naturalmente non me ne accorsi. Non me ne accorsi nonostante i bigliettini sotto la porta, il fiore che di tanto in tanto lasciava sulla maniglia e i tappi di bottiglia lasciati sulla soglia, dove lui disegnava una faccina sorridente con il pennarello.
Me ne resi conto quando me lo disse con le lacrime agli occhi e con consapevolezza che quella che per lui era un'essenza di vita non sarebbe mai stata sua. Capii che dovevo prendere le distanze da lui, senza pormi troppe domande o crucci. E così feci.
Un giorno seppi che il padrone di casa gli aveva recapitato lo sfratto per morosità. Lui aveva una pensione che gli permetteva di vivere decorosamente, ma i suoi soldi finivano sempre nelle tasche di approfittatori più disgraziati di lui.
Una mattina, di rientro dall'università, lo trovai in mezzo alla strada, davanti al portone di casa. Era seduto sull'unica valigia che era riuscito a riempire con le sue poche cose. La casa era già stata svaligiata da un energumeno che si diceva suo amico. Era seduto su quella valigia e piangeva. scappai. Rientrai a casa la sera tardi e lui non c'era più. Non seppi più nulla di lui.
Oggi mi so svegliata con l'immagine di Mario davanti agli occhi. Forse l'ho sognato, non so. Ho frugato nella scatola degli scheletri ed ho ritrovato le sue lettere, i suoi biglietti e un libro di Hugo: L'uomo che ride.

7 giu 2007

Madre


Siamo lontane tu ed io.
Son stata dentro di te e ti ho sentita accanto a me sino a quando la mia anima non ha iniziato a scalpitare e ha desiderato seguire i suoi percorsi.
E’ accaduto presto, troppo presto.
Bambina, adolescente, donna.. e tu sempre lontana.
Lontana da me , lontana da tutto ciò che non capivi.
Lontana da mio padre. Lui era “troppo” per te. E tu troppo stupida per comprendere quell’ unica cosa che quell’uomo ti chiedeva: complicità, solo complicità.
C’è stato un momento, più tardi, in cui ti ho sentita accanto e ti ho compresa.: è stato quando la maternità mi ha sfiorata. E’ durato poco..un raggio di sole coperto da una nuvola.
Poi di nuovo lontana, come sempre..come ora.
Ho chiesto il tuo aiuto , da figlia a madre; ti ho raccontato, da donna a donna;
Un attimo, per un attimo mi hai guardata e con quello sguardo mi hai sussurrato: “ sono con te”.
Ma è durato poco, troppo poco..ancora una volta.
Io sono il quadro a cui non riesci ad adattare la cornice.
Rassegnati….non esiste quella cornice.
Tu resterai...io andrò!

7 mag 2007

La valigia


La valigia sul letto è quella di un lungo viaggio..recitava una vecchia canzone, ma questo non è un viaggio come tanti. Apro la mia valigia, la stessa di quando avevo vent'anni, quella con la quale son partita e ritornata dieci, cento, mille volte, con un carico di sogni, entusiasmi, progetti. La apro e mi sorprendo nel constatare che non è vuota. Frugo e trovo brandelli stropicciati di vita, frammenti che si son salvati dall’incuria che negli anni ho avuto di me stessa; cerco ancora..e ritrovo sogni accarezzati, riposti male ma che scalpitano nel momento in cui sentono il tocco delle mie mani. Pare un miracolo. Ed io mi sento come allora. Mi specchio. Forse è un illusione, ma non vedo più quelle sottili rughe ai lati dei miei occhi. E gli occhi, gli occhi hanno la stessa luce, quella luce svanita, ricercata e dimenticata. Mi assale l’entusiasmo e, con l’entusiasmo, la confusione, la frenesia . Che mettere in valigia? Certo, solo il necessario….inizio con la pazienza. Avrò bisogno di vagonate di pazienza. Per tollerare me stessa, prima di tutto. Non è più tempo di capricci, di voglio tutto e subito, di spalle coperte e colpi di testa parati. Da altri. Ora è tempo di camminare sulle mie gambe, di costruire da me e per me. Con cautela e a piccoli passi. E avrò bisogno della pazienza per sopportare quello che inevitabilmente mi rotolerà addosso.Gli errori si pagano..ma io non li chiamo errori. La pazienza ha occupato un consistente spazio nella mia valigia….ma non posso ridurla. Continuo…un angolo per l’incoscienza lo voglio trovare, magari sacrifico un po’ di buonsenso ( ho detto un pochino, che palle!) che troppo fa male e il viaggio diventa pesante. C’è ancora spazio….spazio per il coraggio, quello che mi ha guidato sinora e quello di cui avrò ancora bisogno. Stringo, sistemo, sposto…rimane un angolo vuoto, ma qui mi fermo. Ciò che metterò in quel piccolo angolo rimasto… lo tengo per me. E’ intimo, prezioso e talmente delicato che lo sistemo con cura per timore che si infranga. E' un desiderio...e i desideri si esprimono,non si confessano!

5 apr 2007

Per Me

Oggi me la canto e me la suono da Me...
Per Me che posso mettere a tacere ogni cosa ma non la voce del mio cuore.
Per Me che amo non per noia, solitudine o capriccio e mi consegno senza difese senza chiedere nulla in cambio..
Per Me che mi incazzo, chiedo scusa e perdono chi non lo fa.
Per Me che posso ancora scegliere la vita che vorrei..
Per Me che amo i graffi incisi sulla mia pelle
le gocce di sale che hanno rigato il mio viso
la rabbia che mai si è vestita di odio
il dolore che ha forgiato la mia anima e l'ha resa libera..
Per Me che vedo ancora la luce nel buio
che sento i suoni che le labbra trattengono
che leggo un mondo in uno sguardo
che tocco per sentire..
Per Me che desidero e non mi accontento di desiderare..
Per Me (cito Pessoa) che "..non sono niente non sarò mai niente non posso voler essere niente ma, a parte questo....ho in me tutti i sogni del mondo".
Per Me oggi io sorrido...

19 mar 2007

In direzione ostinata e contraria

In direzione ostinata e contraria...vado
In direzione ostinata e contraria rispetto alla strada tracciata,
al sentiero conosciuto, al cammino intrapreso da un altra me...che non esiste più. Un'Altra me..peggiore..migliore, che cosa cambia? Un 'Altra.
Vai a spiegare al mondo che non esisti più..
Vai a spiegare la tua angoscia, quel sentirti soffocare, la paura di perderti, la tua voce che si affanna per trovare una via d'uscita...
Vai a spiegare al mondo che hai paura di ricominciare da capo, hai una fottutissima paura pure tu, e hai paura più di loro..perchè è della tua vita che si parla.
Vai a spiegare che quando ti accorgi che l'acqua ti arriva alla gola, nell'ultimo istante, quello che un soffio separa la vita dalla morte, quando stai per soccombere....raccogli le forze smarrite nei labirinti delle paure ...
e ci sei tu e quello che rimane della tua vita
e c'è un seme da piantare
un germoglio da osservare con incanto
una tenero virgulto da proteggere dalle intemperie, dai parassiti ..
un 'albero forte e possente che nulla potrà piegare.
Vai a spiegare al mondo....
In direzione ostinata e contraria...vado rispetto alla vostra, certo........non alla mia.

6 mar 2007

Il Viaggiatore

Un giorno, ad una domanda postami da un' amico, ho risposto con un passo di "Viaggio in Portogallo” di José Saramago:
“..quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto :“non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si era visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati per ripeterli e per tracciarvi accanto nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre”.
Oggi mi ritorna in mente questa riflessione e mi accorgo che sta sulla mia pelle come un abito fatto su misura. Spesso e superficialmente, nel corso della mia vita, sono stata tacciata di incoerenza, di contraddizione, di labilità di pensiero, parole ed azioni…. La risposta è nelle parole di Saramago che mi riportano al “ panta rei” di Eraclito, tutto cambia fuori e dentro di noi. Mi piace l’idea del “divenire”, della trasformazione, dell’essere precari, provvisori. Mi pare che avere un’ identità equivalga a fermare un’evoluzione, contrastare quel flusso dinamico di energia presente dentro ognuno di noi.
Vedere di nuovo quel che si è già visto, con gli occhi di ieri, di oggi e di domani…….con rinnovata meraviglia, incanto , stupore..

27 feb 2007

Emma c'est moi

Tu sai quant'è difficile il salto tra l'essere, il non essere e il fingere di...
tra il vivere, il non vivere e il rinascere,
tra la rabbia, il tedio e la voglia di..
tra sentire dolore e procurare dolore,
tra mediocrità e intensità,
tra il tempo andato e il tempo a venire,
tra un crudele rimorso e un dolce rimpianto.
Tu conosci quel moto di mare che si agita tra una sponda e l'altra,
l'amarezza di desideri che rimangono tali,
mostrare un'anima e combatterne dieci, cento...
Qual'è il tuo peccato, Emma? Vivere?
Che patetica!

19 feb 2007

Yo soy Don Quijote

La poesia riportata in calce è un testo del poeta turco Nazim Hikmet. Questa poesia ha ispirato un lavoro teatrale "Chisciotte e gli invincibili" (musica e poesia,ancora in programmazione) portato in scena dal ferroviere-cantautore di Cuneo Gianmaria Testa, su un testo inedito dello scrittore-operaio Erri de Luca, anche lui fortemente infatuato dell'eroe senza tempo di Cervantes.

" Dedicato a tutti quelli che non si arrendono..."
Gli invincibili non sono quelli che vincono e vogliono vincere sempre ma coloro che non si fanno abbattere dalle sconfitte.
Quelli che vincono sempre sono i vincenti e i vincenti, quando cadono, cadono male e spesso non trovano in se stessi forza e motivazioni per rialzarsi; gli invincibili son coloro che non si arrendono, cadono, si rialzano, continuano a cadere e vanno avanti.
Sono degli antieroi positivi, persone che tentano di riappropriarsi di se attraverso personalissimi percorsi di coscienza. In loro non c'è pessimismo ma speranza.
Si, Yo soy Don Quijote, valoroso hidalgo e tu, Sancio, mio fedele scudiero, seguimi se vuoi ma lasciami vivere la mia lucida follia.. Li vedo i mulini a vento, sai? So che non son giganti. E la dolce Dulcinea, gran bella prostituta..e quel folto esercito di Mori...pecore, pecore e basta...
Cleide


DON CHISCIOTTE
Il cavaliere dell'eterna gioventù
segui, verso la cinquantina,
la legge che batteva nel suo cuore.
Partì un bel mattino di luglio
per conquistare, il bello, il vero, il giusto.
Davanti a lui c'era il mondo
con i suoi giganti assurdi e abbietti
sotto di lui Ronzinante triste ed eroico.
Lo so quando si è presi da questa passione
e il cuore ha un peso rispettabile
non c'è niente da fare, Don Chisciotte,
niente da fare è necessario battersi contro i mulini a vento.
Hai ragione tu, Dulcinea é la donna più bella del mondo,
certo bisognava gridarlo in faccia ai bottegai,
certo dovevano buttartisi addosso e coprirti di botte,
ma tu sei il cavaliere invincibile degli assetati ,
tu continuerai a vivere come una fiamma
nel tuo pesante guscio di ferro
e Dulcinea
sarà ogni giorno più bella

Nazim Hikmet

4 gen 2007

Uno, nessuno e centomila

Ci son momenti, nella nostra vita, in cui vorremmo essere capaci di razionalizzare tutte le sensazioni, perchè prenderle così come si presentano, sembra che ci possano sommergere.Prendi il dolore:ti consuma, ti fa scoppiare la testa, ti fa stringere i pugni e piangere con te stessa, senza sapere perchè.Prendi la felicità:ti fa sorridere e gridare, ti fa dire e fare cose fantastiche, ti fa vedere il mondo colorato, ma gli altri non si accorgono e questo ti fa ridere, vedere la cecità di tanti cuori..Prendi la malinconia:si presenta senza avvisarti, in mezzo a milioni di persone, anche quando ti ubriachi e parli, parli, anche quando va tutto bene.Prendi la rabbia:ti fa venir voglia di scappare e di prendere a calci tutti i semafori della città e quando son finiti prendere di mira le vetrine dei negozi!Ma come puoi delimitare queste sensazioni? Non puoi!Sei costretta a prenderle così come si presentano e basta!Qualcuno mi disse che bisogna dare ascolto solo ai nostri impulsi migliori, ma io dico che bisogna avere il coraggio di guardare in faccia i nostri peggiori difetti, per gli altri ma soprattutto per noi stessi.Siamo "Uno, Nessuno e Centomila" ma ogni tanto vorremmo essere quello che siamo.

21 dic 2006

Donne dagli occhi grandi

E' il titolo di un libro di Angeles Mastretta che fa parte di un filone letterario che amo, quello delle "donne che scrivono di donne", come la Mastretta appunto, come Marcela Serrano, Isabel Allende, la Maraini, Aleramo, Austen, Dickinson, Bronte, Manchu e tante altre che in tempi e modi diversi hanno narrato il loro essere donna. Donne con occhi grandi, spalancati sul mondo e dentro la loro anima che hanno condiviso la loro interiorità raccontando vite, sogni, aspirazioni, luci, solitudini, conflitti, rabbie e paure; donne che han comunicato il cammino, non sempre facile, nel trovare un punto d'incontro tra l'essere per sè e l'essere per gli altri; donne che han volato con ali di cera, costruito castelli di sabbia, indossato abiti impropri e son cadute, si son sollevate, ricadute e risollevate, ridendo delle loro ammaccature e condannandosi e assolvendosi sempre; donne che han cantato l'amore nelle sue molteplici e personali sfumature; donne stuprate, infibulate, burkate nel corpo e nell'anima; donne che abbracciano una causa, un'idea e son pronte a morire per essa. Occhi GRANDI, luminosi, curiosi, indifesi, indignati, fieri , coraggiosi, impauriti ma occhi consapevoli che essere donna è "qualcosa in più della bellezza". Piccole donne, grandi donne.....piccole vite, grandi vite..che importa? Sono gli occhi di Venere Storpia, di Rita,di Celia, di Mari, Maria, Claudia, Elena e tutti gli altri occhi incontrati e letti per caso in questo spazio "virtuale. Voglio dedicare a loro queste parole scritte di getto e voglio dedicarle all'uomo che me le ha ispirate..Volevo allegare al post la famosa foto degli occhi della Fallaci che in UN Uomo ha saputo declinare l'essere donna in maniera sublme. Ma ho cambiato idea. Quelli sotto son i miei occhi. Gli occhi di una donna.

2 dic 2006

Lettera ad un bambino mai nato ( la Fallaci dei poveri..)


Quando ti ho visto per la prima e ultima volta eri così. Sembravi un girino indifeso. Avresti visto la luce in questi giorni. Credimi se ti dico che stavolta pensavo che sarebbe tutto andato liscio, lo pensavo veramente. Ma non c’è mai nulla di scontato, la vita non è scontata. Eppure sono stata buona, non ho fumato, ho mangiato sano e intelligente, non ho tinto i capelli, ho coperto le orecchie per non sentire le insulsaggini che di solito mi fanno infiammare. Sono andata per medici e laboratori analisi come se fosse la cosa più naturale di questo mondo, io che sono una fifona incallita. Ho persino messo a tacere la mia cattiva coscienza che ha dato luce a quella buona quando ho capito che ti volevo. Ho pensato a come sarebbe stato bello questo natale con te, io che non amo il natale. Ho creduto che il tuo arrivo, come il Messia, avrebbe sanato tanti mali. Mi sentivo forte come un leone, forte per me e per te. Ho anche iniziato a vedere con rinnovato sguardo quel mondo che tanta paura avevo di farti incontrare. Ho pensato:”forse sto davvero crescendo, che miracolo stai compiendo piccolo seme..". Ma i miracoli non sono per tutti o forse solo per chi li chiede ed io non ho mai chiesto niente. E non chiedo niente neppure ora. A nessuno. Solo a me stessa dico basta, basta con questo dolore, voglio andare avanti e prendere solo il bello che è rimasto, le sensazioni, le emozioni che mi hai regalato e poi lascerò scorrere la vita davanti a me ovunque mi vorrà portare. E un pensiero sarà sempre per te.