9 set 2009

Va' pensiero

Ci sono porte che non apro. Parole che non pronuncio. Voci e richiami ai quali non rispondo. Sguardi che non sostengo. Non è per noncuranza. E’ che ci sono pensieri che passano una sola volta nella tua mente e comprendi che sono diversi da altri perché hanno una nota che ti cattura. La nota diventa un inciso e quell’inciso non ti molla. Comprendi che questo lo devi fermare perché fermarlo potrebbe fare la differenza. Ci sono pensieri a perdere e altri a dare. Esistono i pensieri necrotici, i pensieri alibi e quelli smessi e scoloriti che improvvisamente ritornano in tutta la loro attualità e reclamano voce e altri che dopo averti amata e coccolate si dissociano da te e pensieri alla deriva che vanno e tornano, vanno e tornano con le onde E in questo viluppo ne cogli uno e quell’uno fa la differenza. Dove mi porterà magari ci penserò domani.:)

22 giu 2009

Io non capisco gli adulti


Quando da bambina mi si domandava che cosa volessi fare da grande, rispondevo sicura: la guardiana del faro. Nel pensiero ingenuo di una bambina c’era solo la comprensione assoluta di quella che era la sua individualità più autentica. Una bambina non si domanda se quello che desidera è attuabile. Lo desidera e basta. Gli adulti ovviamente sorridevano ed io non capivo che cosa ci fosse di così ridicolo nella mia affermazione tanto da giustificare quelle risate. La loro mente era già smarrita e ammorbata, ma io allora non potevo saperlo. Che poi non erano proprio risate. Credo di non sbagliare se ricordo di aver colto qualche sguardo melanconico allora, quei lampi che ti vergogni di cogliere, quasi come stessi spiando dal buco della serratura nel privato più privato di un altro essere umano. Lampi di malinconia e di rimpianto. Mi atterrivano allora quegli sguardi e mi atterriscono ancora. Spiavo le espressioni dei grandi. A volte mi sembravano sporche, altre sconfitte, arrese alla quotidianità e a quello che sembrava il giusto e il prudente. Mi sembravano gli ultracorpi della fantascienza, uomini fuori ma senza emozioni. Io non capivo gli adulti. E loro non capivano me.
Ricordo che si andava al mare e nel pomeriggio arrivava il momento dei gelati per i bambini. Tutti si buttavano come impazziti ad infilare le mani in quella scatola a pescare quello che capitava. Tutti tranne me. Io aspettavo fuori dalla calca e non era detto che prendessi il gelato dopo. Non volevo un gelato, volevo il gelato. Se non c’era quello di mio gradimento e considerando che gli altri avevano già scelto la speranza era praticamente nulla, giravo i tacchi in silenzio. Gli adulti non capivano. Ma che c’era da capire?
Non capivano nemmeno perché io regalassi le mie cose. La proprietà. Io non concepivo il concetto di proprietà, non mi apparteneva cribbio. Capivo che se tu desideravi una cosa che mi apparteneva, regalartela o dividerla con te mi rendeva felice. Ricordo che una volta regalai una scarpa. Vai a capire che cosa mi passasse per la testa, che ci fa uno con una tua scarpa? Ma tant’è che così andò.
Anni fa partecipai alla prima marcia per la pace che si tenne in Italia. In verità della marcia non mi importava granché. Forse neppure della pace. Mi divertiva l’idea di vivere per strada, quindici giorni di cammino sotto il sole di luglio, zaino militare in spalla con tutte le tue cose, camminare su strade polverose e dormire in un sacco a pelo con il cielo sopra la tua testa. Un massacro in realtà, un favoloso massacro. Fatto sta che al mio rientro dormire con quattro pareti intorno proprio non mi riusciva. Non mi pareva ci fosse nulla di strano a posizionare il sacco a pelo in giardino per qualche giorno. Non li capirò mai gli adulti.
La cresima. Tutti i bambini fanno la santa cresima. Io non ho fatto la santa cresima. Non ho voluto fare la santa cresima. Ed è stata la prima e santissima volta che ho visto un adulto senza parole. E’ disarmante per un adulto sentire l’ovvietà uscire dalla bocca di un bambino.
Come tutte le bambine ho giocato con le bambole. Mi regalavano le bambole ed io giocavo con le bambole. Tutte le bambine giocano con le bambole. Non saprò mai se mi sarebbe piaciuto giocare con altre cose. Ma così è. E tutte le bambine sognavano di sposarsi e indossare un favoloso abito bianco. Io non ricordo che questo pensiero mi fosse mai passato per la testa. Sono davvero convinta che i bambini sanno già tutto. Hanno una percezione così chiara ed evidente di se stessi ed è davvero un peccato mortale quello che accade dopo. Questo si che è un reato e dovrebbero punire i responsabili. Tu sai tutto e poi ad un tratto sai solo quello che altri vogliono che tu sappia. Ed ecco che arriva l’errore, il passo falso che può comprometterti l’esistenza. Ma vai a spiegarlo agli adulti.


8 giu 2009

Another brick in the wall


Il risveglio del mattino è un incognita. Ci sono giorni in cui tutto si svela. Un film perfetto dove non hai alcun dubbio che il senso dell’immagine che ti scorre davanti sia quello che hai colto. Dove ogni cosa prende posto nel suo assetto naturale. Dove persino le motivazioni hanno una base e un’altezza. Ma ce ne sono altri che sono l’egemonia del caos e del sovvertimento. Ma ci sono anche quelli dei progetti strampalati e dei vagheggiamenti improbabili ma accattivanti che azzerano le incertezze e le controindicazioni. E questi confondono gli altri per eccesso. Non sono mai stata saggia nei confronti della mia vita e neppure lungimirante. Ho smesso di fare sforzi inauditi per dimostrare qualcosa al mondo. Forse ho anche smesso di rimanerci male quando i dritti ti dicono che sei storta. Vogliono solo amputarti le aspettative e mettere un chiavistello ai tuoi varchi e lo fanno tanto per. Di te non gliene frega nulla. E se lo sai, sei già più avanti perché sai reggere lo sguardo della realtà. Sai reggere il tuo sguardo allo specchio. E hai imparato a spostare il tuo sguardo dal loro.

14 mag 2009

Ciak...si rigira!


Alla fine tutti abbiamo bisogno di punti di riferimento, da scoprire o da ritrovare. Persino in questo cacchio di città. I visi che incontri nella strada che percorri abitualmente, la cassiera del supermercato nel quale ti senti più a tuo agio, un angolo di città che catalizza la tua attenzione, una panchina dove sedersi ed osservare questo angolo di mondo ed imparare ad amarlo. Ma ancora e per ora l’unico riferimento è la mia ostinazione a non voler sentire vedere toccare questo mondo. Mi culla il pensiero di pagine bianche ancora da riempire, della possibilità, dell’altrove, di mondi sfiorati che attendono di svelarsi ai miei occhi.
E’ che una vita non basta, non basta accidenti. La vita è come il cinema. La prima parte è come quei vecchi film muti e in bianco e nero, ti senti triste in uno di quei film, prigioniera di un interminabile autunno, ti manca la parola e la possibilità di far sentire l’eco della tua risata. Ma tieni duro e sei ricompensata con il sonoro e poi ancora con il colore e lo schermo panoramico che dà più respiro ai tuoi sogni e alla tua sete di avventura. Ma ancora non ci siamo. Perché capita, senza che tu possa averne coscienza, di venire risucchiata in una di quelle pellicole francesi d’epoca con scarsi dialoghi dove a parlare è l’immagine. Oppure sei assorbita in una surreale storia di incomunicabilità diretta da Bergman o Antonioni. Tieni duro ancora. La vita cambierà e cambierà pure il cinema che la rappresenta. E hai ragione, ecco che irrompe prepotente nella tua esistenza il cinema degli effetti speciali, dell’audio ad alta definizione, delle animazioni al computer, delle mirabolanti trovate futuristiche che danno una scossa ai tuoi sensi ottenebrati. Ma a volte è troppo tardi, maledizione. Quando arrivano gli effetti speciali, chissà perché tu sei già morta stecchita. Io spero almeno di potermeli godere a lungo.

2 mag 2009

Autostima-a-a-a


- Allora, Cleide, lo vogliamo scrivere o no questo benedetto nuovo post? La gente tra poco comincerà a telefonare a “Chi Blog l’ha vista?” se non butti giù qualche riga.
- Lo farei volentieri, Capitano, ma non ho nessuna ispirazione. Tutte le idee che mi vengono mi sembrano banali e mosce. Scrivere un post mi pare un’impresa titanica.
- Ma quale impresa titanica! Che ci vuole a buttare giù due righette da diaro virtuale. Puoi parlare della patente che vuoi prenderti, dei cani rompiballe della vicina o di quella artista tedesca che incontrammo a Caserta Vecchia, te la ricordi? Quella pazza che compariva nel buio come Belfagor e minacciava di frustarti se ti scordavi di salutarla. O meglio ancora puoi raccontare il viaggio che hai fatto ieri a Olbia nella Bmw decapottabile, con tanto di capelli al vento. Scrivi il post e io ci metto il video di “Good morning Starshine” dal film Hair. Ci farai una figura splendida, da Hippy Webby, mentre descrivi il grido di libertà che lanciavi sull’autostrada Alghero-Olbia, con il vento caldo odoroso di anni Sessanta che ti lisciava i capelli e ti sussurrava paroline dolci.
- Oltre al fatto che non ho la più pallida idea di cosa sia una Hippy Webby, siamo stati con la capote abbassata solo per qualche chilometro perché c’era un vento che più che di anni Sessanta odorava di merda di cavallo.
- Vedi come sei rompiscatole e antiromantica? Che importanza hanno un chilometro o cento, o se il vento odorava di cacca di cavallo o di Figli dei Fiori? Ciò che conta sono le sensazioni. Le emozioni. E poi ti ho detto mille volte di colorire letterariamente un po’ le tue esperienze.
- Che significa colorire, mi devo inventare tutto?
- Quale inventare. Significa che vai a prenderti una pizza da Peppino La Bomba e scrivi sul blog che sei stata a cena al ristorante cinque stelle Royal Society, ti fai una passeggiata serale sul desolato lungomare algherese e dici che sei scesa in spiaggia di notte e ti sei fatta il bagno con tutti i vestiti. Incontri un tuo ex che ti sbadiglia in faccia e ti dice ciao sbagliando il tuo nome e giuri che ti ha salutato piangendo e che ti ha implorato di tornare con lui. Capisci? Non si tratta di mentire, ti prendi qualche piccola licenza poetica.
- Ho capito, tra poco mi consiglierai di fare come il Giomba quando strombazza che tutti lo amano, che ha vinto tremila premi per il suo blog da Pizzighettone Net a Cazzago Web e che i network americani si sbracciano per intervistarlo.
- Certo, fa come Giomba, scrivi che hai vinto centinaia di premi con il tuo blog o con il tuo sorriso sfrontato, scrivi che i vip ti cercano e ti amano. Metti sulla colonna laterale qualche centinaio di commenti genuflessi in cui tutti giurano che sei brava, bella e intelligente e che il mondo senza di te non può andare avanti. Se non hai niente sottomano, te ne scrivo io una ventina seduta stante.
- Sei pazzo? Poi passa Celia e le viene un colpo e si chiede se mi sono presa una giombite acuta. Però quella storia del video di “Good Morning Starshine” non è male. In effetti la corsa nella decappottabile me la sono fatta, i capelli svolazzavano sull’autostrada e per qualche nanosecondo me la sono sghignazzata pure come Jacqueline Kennedy, con un foulard supershocking annodato al collo.
- E non scordare il vento.
- Certo, Capitano, ora che mi ci fai pensare il vento sull’autostrada profumava proprio di anni Sessanta e, anzi, direi proprio che mi sussurrava nelle orecchie con la voce di uno chansonnier alla Jacques Breil. Sai quella canzone che dice “Je t’inventai” o meglio ancora “je te parlerai” di “le rouge et le noir”, e non scordiamoci “Ne me quitte pas”. Insomma quelle minchiate lì… cioè volevo dire quelle splendide perle sentimentali. Sìììì, ne sono sicura, ieri sull’autostrada, mentre facevo Jacqueline nella Bmw decappottabile il vento, con la voce precisa di Jacques Breil, mi implorava: “Non abbandonarmi”.
- Ecco, così sì che mi piaci. Evvaaaaiiii.

28 mar 2009

Achtung Baby


Quando hanno spiegato come si prende per il verso giusto questa campionario di circostanze che chiamano vita, ero distratta o ero assente. E mi domando se non sia tardi per prendere ripetizioni o non mi resti che fare della mia asinità virtù. Sono una irresponsabile esistenziale. Con i pensieri appesi come salami che tardano a stagionare. Banditi latitanti. Primule rosse. E Dio sa che cosa salterà fuori il giorno che si riveleranno. Mi rimane sempre il manuale di atterraggio sul morbido. Me lo regalò un amico che nel frattempo ho perso di vista. Si mormora si sia fatto molto male. Schiantato sull’asfalto di sogni disertori. La mia domanda ora è: avrà usato il manuale?

16 mar 2009

Dap..Crack..Bum!


Dap Dap Dap
Sembra un Rap
Invece è un Crack.
A volte penso che dovremmo parlare per verità elementari. Per parole semplici. Scrivere semplicemente. Scrivere: ho fame. Ho freddo. Sto bene. Sto male. Sono nera. Sono felice. Invece saliamo e scendiamo le scale dei sinonimi e dei contrari. Sostiamo nei pianerottoli dei futuri ipotetici. Bussiamo alla porta delle proposizioni complesse. Scriviamo osservando un altro noi che scrive come se scrivesse di un altro ancora. Io oggi voglio scrivere semplicemente scrivere. Voglio scrivere di quando mi trasformo in un abile stratega per combattere la bugia che mi ingabbia il cervello e la vita. Lo chiamano Dap. Disturbo da attacco di panico. Siamo così abituati a confrontarci con le ombre del nostro corpo ma scappiamo dinanzi a quelle della nostra anima. Siamo come quei sub esperti che sanno bene quanto in talune circostanze sia bene rimanere in superficie perché addentrarsi in certi anfratti può far paura anche ai più temerari. Dinanzi ad un pericolo esterno reale il nostro istinto ci suggerisce due possibilità: scappare o affrontarlo. Questo non accade se il pericolo è interno e immaginato. Una bugia. La bugia che tu combatti con altre bugie, cercando prospettive di fuga, trovando abilissimi stratagemmi per eludere il problema. Svicoli. Dribbli. Organizzi la tua vita in modo tale da fregare l’avversario. Cerchi strade alternative il cui percorso ti rassicuri. Ma quella frustata arriverà comunque, quando me no te la aspetti, quando non ci sta, quando non deve, quando non sei pronta. E’ un crack dell’anima. E non c’è fuga che tenga in quell’istante. Perdi le coordinate spazio temporali. Una scossa tellurica cerebrale il cui l’epicentro è la paura. Io non so più che significhi uscire per strada da sola. Mi sento come se mi avessero amputato le gambe. Ma le ho le gambe. Mi sento come se mi avessero chiusa in gattabuia e condannata innocente. Ma sono libera. La paura è una stronza egocentrica, non vede altro che se stessa. Ed io inizio ad averne le scatole piene. Ed è ancora presto per dire..questo è quel che resta di me.

4 mar 2009

Io vs Me












Vagabonda tra le note di un’astenica sinfonia.
Tra gli scantinati della precarietà.
In cerca del crocevia tra il contrattacco e il fatalismo.
A ridere dei miei alibi.
A cercarmi senza successo.
Poco accorta da non schivare le barriere dell’utopia.
Con pensieri funamboli e acrobati che si avvalgono della facoltà di non rispondere.
Fuori tempo e fuori rotta, Sempre, comunque e nonostante. Echisenefrega. :)

A volte mi viene da pensare che forse, se Socrate fosse vissuto oggi,
invece di "Conosci te stesso" avrebbe detto: "Conosci l'alieno che è in te".
Luce d'Eramo, in Io sono un'aliena, 1999

19 feb 2009

Radicali Liberi



La mia è una stagione dove i dubbi mettono radici e le certezze diventano schizzi di cui sarebbe troppo fantasioso prevederne la forma finale.
Dove la concezione che si ha di sé sta alla nostra pelle come il prurito di un orticaria.
Dove i pensieri da condividere sarebbero tanti ma uno strano pudore li mortifica nel momento di tramutarsi in parole.
Dove cerchi un non so che con la virtù di aprirti nuovi orizzonti e frantumare le consuetudini.
In mezzo.
Ad un passo dalla consapevolezza ed uno dalla follia.
Mentre tutto accade, niente accade.

"Il tempo guarirà tutto. Ma che succede se il tempo stesso è una malattia?!"
Da : Il cielo sopra Berlino

9 feb 2009

Che ci faccio qui?







E’ bella la mia città. Questo penso mentre attraverso il lungomare con le sue alte mura e m’inoltro nel borgo medievale. Ricordo che un tempo mi piaceva vivere qui e lo pensavo con orgoglio. Forse allora mi sentivo a mio agio pure con i suoi abitanti. Forse era così perché allora ero una di loro. Poi decisi di andarmene. Non era una fuga la mia. Era un andare per continuare, per cercare. Non ricordo quando e perché questa città divenne una nemica. Ma lentamente il senso di estraneità si trasformò in un divario insanabile. Forse è una questione di linguaggio. Si parla la stessa lingua ma è come se si parlassero lingue diverse. Oggi sono qui perché così ha deciso la vita ed io con lei. O forse è solo il buonsenso che ha deciso per noi. Ed io non so farmene una ragione. Non mi piace questo scenario e non mi dicono niente questi visi. Non hanno odore, sapore. Non hanno storia. Nessun intreccio, nessun vissuto. Non per me almeno. Ma questo non è un teatro dove puoi alzarti e andare via. E non puoi neppure sfiguralo o smembrarlo perché la tua rabbia ha bisogno di un capro espiatorio. Devi lasciarlo intatto. Forse è arrivato il momento di scegliere davvero dove stare. Forse anche di restare. Forse.

Ci sarebbe stata un’altra Isola per ripararsi, riposare ed amare. Quell’orizzonte sarebbe sempre stato lì, un invito ad andare… ( Una ballata del mare salato. Hugo Pratt)

22 gen 2009

Movimento lento


Mi piace alzarmi piano dal letto, guardare dalla finestra senza l’incubo dell’orologio che corre, camminare piano, pensare piano, respirare piano, sedermi senza riflettere su quello che dovrò fare tra dieci o cinque secondi. Mi piace immaginarmi accoccolata sulla riva di uno stagno d’estate. Fa caldo, così caldo che non si muove una foglia, non c’è un alito di vento, la superficie dello stagno è ferma, come la mia anima. Non c’è un suono, sulla torpida e immota acqua nella calura estiva, sembra di trovarsi fuori dal mondo. I tempo si è fermato e io non sento la necessità di accelerarlo di nuovo, non ho l’obbligo di fare niente, mentre sono accoccolata sull’erba bassa in riva allo stagno, nemmeno di essere intelligente. E’ bello non avere l’obbligo di essere o sentirsi intelligente.
Non ho voglia di essere sempre eccellente ed efficiente. Perché stare in balia di desideri e stati d’animo che ne impediscono il realizzarsi può essere sfiancante. La volontà non sempre è sorretta dalla forza. Allora ti siedi sulla giornata che scorre lenta. Osservi, pensi, ti muovi piano. Restituisci grazia e dignità agli attimi.

Scegli la lentezza.

10 gen 2009

Busso io? No tu no!


- Hai preso il biglietto per il concerto di Guccini a Roma, Cleide?
- No, Capitano, erano già esauriti e dire che avevo un volo da Alghero per soli venti euro. Che sfortuna, ci tenevo molto a vedere Guccini.
- Non c’è nessun problema, se lui non viene da noi andremo noi da lui.
- Che intendi dire?
- Scusa, non hai detto di sapere dove abita il cantautore modenese? Non era uno di quei paesini emiliani dove la gente si ritrova nelle osterie a giocare a tressette col morto? Non hai detto che se bussi alla porta di Guccini, lui ti apre e ti invita pure a entrare a casa sua?
- Vorresti bussare alla porta di Francesco? Tu sei pazzo non ne avrò mai il coraggio!
- Lo faccio io per te. Perché non dovrebbe essere ospitale con due suoi fan come noi?
- Che diavolo dici? Io sono una sua fan, tu di Guccini conosci solo qualche canzoncina di terza mano captata qui e la.
- Non stare a sottilizzare. Sul cantautore modenese tu ne sai a sufficienza per tutti e due. Allora ci stai? Andiamo lì, lo conquistiamo con la nostra parlantina e ci facciamo suonare pure qualche pezzo da Cyrano o da Don Chisciotte.
- Sì, e magari tu gli fai gli sciummpa-pah di sottofondo agitando il culetto! Che ti salta in mente? Noi siamo le persone meno dotate di parlantina sulla faccia della terra. E tu hai la chiacchiera libera solo quando inveisci contro qualcuno o qualcosa. Vuoi andare a casa di Guccini a imprecare contro le raccomandazioni alla Rai o contro la stupidaggine dei film che ti scarichi da internet? Magari lo convincerai a cantarti “L’avvelenata” prima di farti spaccare la chitarra in testa.
- Sei sempre così negativa. Sono sicuro che ci farà entrare a casa e ascolterà ciò che abbiamo da dirgli. Parli tu che sei più simpatica e poi ti sei pure sciroppata tutti i suoi romanzi e i suoi saggi di dialettologia emiliana o quello che erano. Poi intervengo io con la mia canzone. Magari lo convinco pure a cantarla e portarla al successo.
- E questa da dove è uscita fuori? Tu non hai nessuna canzone da proporre a chicchessia. Anzi tu non sai suonare nemmeno le pentole antiaderenti o la caffettiera Bialetti da sei tazze.
- Come ti sbagli! La canzone ce l’ho. Si chiama “Amore in caduta libera” e l’ho scritta per quella tizia di Tiscali.
- Quella pazza che giurava di conoscere un direttore d’orchestra che aveva suonato per papa Wojtila ed era follemente innamorato di lei? Questa sì che è una referenza coi fiocchi.
- Forza, andiamo da Guccini, tu gli parli del più e del meno, gli citi qualche suo verso facendo gli occhioni sognanti, gli dici che è un genio e fai quasi la faccia delle ragazzine che svenivano ai concerti dei Beatles e poi intervengo io con la mia canzone.
- Posso fare Oh yeeeaaahhhh in chiusura con una smorfia sarcastica del viso?
- Certo, fa oh yeaaahh, fa oh bleeeaaahhh, fa oh meee-aaaahhhh e andiamo a bussare alla porta di Guccini.