20 nov 2007

In fondo all'anima cieli immensi




Mio Capitano. Cielo grigio su, foglie gialle giù, zaino in spalla e tanta voglia di lei, madama avventura. La domanda non è se, ma dove. Non se abbiamo fantasticato un giorno - quando in testa avevamo più sogni che capelli - di piantare tutto e inseguire i capricci della nostre mente smaniosa, ma dove desideravamo andare.
Per me la risposta è semplice. America. La sola America possibile, quella del West, del detective Marlowe e di Hollywood, ossia dell'unico posto al mondo, lo pensavo tanto tempo fa e lo penso tuttora, in cui il cinema diventa talvolta magia. C'era un tempo in cui mi vedevo aggirarmi per le lunghe autostrade del West, in mezzo ai grandiosi paesaggi che facevano da sfondo ai film di John Ford, o vagare tra i grattacieli di New York a naso in su, sperando di cogliere le capriole dell''Uomo Ragno alle prese con la perfidia di Elektro, Octopus o Goblin padre. Idolatravo l'America, anche se ne vedevo i difetti. Egoismo, arrivismo, magnati succhiasangue, scandali politici e guerre sbagliate. E però c'erano pure l'idealismo di Kennedy o del New Deal, i movimenti dei diritti civili, le rivolte universitarie, la contestazione alla guerra del Vietnam, il rhythm & blues.
Ebbene avevo e ho tuttora una zia in America. Per molti anni il fatto di poter contare nella mitica New York di una base in cui farmi ospitare ha scatenato la mia immaginazione. Davo per certo di far visita un giorno alla mia parente, magari in compagnia di amici con cui mi sarei poi avventurato in un attraversamento da costa a costa fino a Los Angeles. Mi vedevo arrivare zaino in spalla nelle cittadine del West e fare colpo sulle procaci ragazzone americane con la mia zazzera partenopea e la maglietta arrotolata sulle robuste braccia abbronzate. Certe volte ho proprio sognato di notte di andare a casa di mia zia, di muovermi da solo per le strade di New York. A quel tempo mi informavo quasi ogni giorno sul costo del biglietto aereo per una trasvolata oceanica. L'ho trovato sempre ben superiore alla capacità delle mie tasche, anche quando c'erano offerte e sconti. Poi un giorno ho smesso di pensare al costo del biglietto aereo. Semplicemente sapevo che non sarei andato più in America. E anche se ci fossi andato, la mia vacanza non sarebbe stata mai quella vagheggiata da adolescente. C'era un tempo per ogni cosa e quel tempo era passato. Ci sono molti sogni nella vita. Solo pochi si realizzano. Be', non si può avere tutto e forse è bene che sia così.
Cleide. Io non ho avuto la zia d'America, ma voglia di avventura tanta. Sogni grandi come case e coraggio e forse sconsideratezza da vendere. Colombia, Perù, Cile per arrivare in Patagonia. Tutta l'America latina. Il Messico, i paesi centroamericani. Nella mia mente solcavo nazioni come se fossero strade. Forti le gambe e ancora più forti i sogni. Però mi vedevo con il mio fedele zaino in spalla soprattutto sui terreni accidentati del Cile, in mezzo alle andine facce scolpite dei discendenti incas, su montagne dove il tempo pareva essersi fermato insieme con le tue angosce. Sapevo di avere la forza e l'ardimento necessari per percorrere il continente sudamericano da cima a fondo, magari accompagnata dalle struggenti melodie degli Inti llimani o dalla voce unica Violeta Parra che ringraziava la vita al mio posto per avermi condotto in terre dove il cuore degli uomini batte più forte.
Non so da dove nasca la mia passione per l'America latina. Magari dal fatto che il solo dialetto parlato nel mio angolo di Sardegna è la lingua catalana. Magari dal fatto che ho mangiato pane e spagnolo fin da quando ero alta così. Spesso penso che in un'altra vita quel lontano continente mi apparteneva. Forse sono stata una sacerdotessa maya o un'umile lavandaia azteca, chissà. Sono tuttora iscritta al sito di Gianni Minà e niente mi rende più felice che impossessarmi dell'ultimo libro di Isabel Allende, Angeles Mastretta e Marcela Serrano o crogiolarmi al caldo e luminoso canto di Gloria Estefan.
Ricordo l'emozione di quando il mio professore di letteratura spagnola e ispanoamericana - un romanzesco personaggio peraltro amico fraterno di Pablo Neruda - mi presentò Luis Sepulveda. Mi trasformai in un attimo in un'ebete a bocca aperta. Qui davanti a me c'era questo straordinario essere dallo sguardo magnetico che mi fissava di tanto in tanto come se mi conoscesse. E qui pendeva dalle sue labbra una fanciulla pietrificata che si chiedeva se avrebbe mai riacquistato il dono della parola. Sepulveda parlò a me e ai miei compagni di corso di suo nonno Gerardo, un anarchico Andaluso fuggito in America latina per scampare a una condanna a morte. Ci disse di quand'era guardia personale del presidente Allende. Dio mio, quell'uomo era stato a braccetto con Allende, era stato arrestato durante la dittatura di Pinochet subendo le infami torture il cui ricordo echeggiava in quell'aula universitaria sassarese! La storia siamo noi, cantava De Gregori. Può darsi, ma la storia per me quel giorno era soprattutto quest'uomo placido che aveva visto in faccia una delle peggiori dittature del secolo e non aveva avuto paura. Ho ancora il romanzo Il mondo alla fine del mondo con una sua bellissima dedica, scritta dopo chiacchiere, caffè e tequila.

1 nov 2007

Cuor di Cirano. Cuor di Guccini


Mio Capitano. Partiamo con due affermazioni per nulla scontate: Guccini mi piace e mi piace pure come canta. Non credevo che un giorno avrei detto cose simili perché ai tempi del liceo vedevo l cantautore modenese come fumo negli occhi. Mi pareva un interprete lagnoso, uno di quei beccamorti musicali che si sarebbero meritati di essere presi a chitarrate in testa come fa il mitico John Belushi in Animal House. Bastava l'eco del suo vocione per farmi scappare lontano.Poi un giorno mio fratello il musicista - ha suonato il basso in qualche gruppetto musicale - portò a casa un doppio cd di Guccini registrato dal vivo. Io subito storsi la bocca ironizzando sui gusti musicali del consanguineo. Però accadde un fatto strano. Mio fratello all'epoca aveva l'abitudine di ascoltare la musica a volume altissimo, per cui anche se sprangavi due o tre porte tra te e lo stereo ascoltavi perfettamente ciò che non volevi ascoltare. Di conseguenza fui costretto ad accorgermi che molte delle canzoni del doppio cd mi piacevano. Ricordo ora "Dio è morto", "Canzone per un'amica", "Il vecchio e il bambino" e tante altre.Notai un particolare a me ignoto in quell'occasione. A dispetto di ciò che avevo sempre creduto Guccini aveva nel suo repertorio anche canzoni romantiche, spesso trattate con una profondità di sentimenti e una sensibilità di cui non credevo capace il cantautore emiliano. La canzone in assoluto che mi conquistò fu "Cirano". Rimasi più che stupefatto quando mi accorsi che nella registrazione dal vivo le parole di Guccini erano accompagnate da un coro di ragazzine e signore innamorate, in un modo non molto diverso da come si sarebbe fatto a un concerto di Eros Ramazzotti o di Claudio Baglioni. Adoro "Cirano" (con la i come lo scrive il cantautore modenese), ma la adoro soprattutto in quella versione dal vivo.Guccini a mio vedere è bravo, ma diventa irraggiungibile quando tratta temi riguardanti eroi maledetti e soli, erranti cavalieri incompresi che combattono contro i mulini a vento sferzando ipocrisia e conformismo dilaganti. E' bravo, Francesco, quando parla di una "ragazza bionda senza averne l'aria", "filosofando pure sui perché", ma è un gigante, il più grande gigante della canzone italiana, quando veste i panni di Cirano ("Io sono solo un povero cadetto di Guascogna / però non la sopporto la gente che non sogna") o di don Chisciotte (colpirò con la mia lancia l'ingiustizia giorno e notte / com'è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte...). Guccini è questo, l'eroe letterario e sfortunato che si innamora delle cause perse e delle donne sbagliate. L'eroe crepuscolare che fa sentire te eroe. E ora passo la parola a Cleide, che sull'argomento Guccini ne sa molto più di me e di quasi ogni altra persona in questi paraggi.
Cleide. Mi lusinghi Capitano, ma sono solo una povera cadetta di Sardegna, con un debole per la gente leale e degna come il cantautore dell'Emilia Romagna. Non so se sarò capace di scrivere di Guccini nel ristretto spazio di un post. Questo perché il mio interesse per il Cantastorie Francesco, come ama essere definito, non è solo discografico, ma abbraccia la sua ventennale attività di narratore e romanziere. Infatti, anche se non è noto a tutti, l'ex Avvelenato della canzone italiana ha scritto molto. Dai gialli, prodotti in collaborazione con Loriano Macchiavelli, ai racconti sulla sua Padania, terra da non intendersi assolutamente in senso leghista, alla dotta trattazione degli idiomi galloitalici che fanno da sfondo alla sua produzione narrativa. Il filo conduttore della produzione artistica gucciniana è la memoria, l'ancoraggio alle sue radici culturali, la tradizione popolare. In ogni caso mi affascina l'uomo, con la scorza di saggio montanaro, che si dimostra profondo conoscitore di vita e di esperienze senza perdere il suo animo di bambino.Tuttavia, è nei concerti si impara ad amare realmente il cantautore modenese. Ad assistere ad una sua esibizione musicale si rimane sorpresi dall'età dei partecipanti, gran parte dei quali sono giovanissimi. Eppure Guccini è sulla scena da quasi quarant'anni. Ho assistito a diversi suoi concerti e ogni volta la sensazione è sempre la stessa, quella di andare ad incontrare un amico. Francesco è un grande affabulatore, dotato di un sense of humor tutto emiliano, dove l'ironia si unisce all'indignazione e talvolta all'invettiva, senza mai trascendere in banalità o volgarità. Un compagnone, il perfetto complice da osteria che ti arringa su donne e politica mentre mette giù un re di coppe, uno che se lo incroci per strada non esiti a fermarlo per fare due chiacchiere. Ho spesso pensato di andare a Pavana per incontrarlo, e forse, un giorno o un altro, lo farò. Mi piace il Guccini che tu citi, Capitano, quello degli eroi sfortunati e dei cavalieri erranti, mi piace quel pathos che ti fa sentire un brivido lungo la schiena, mi piace il Guccini di Ritratti: Piazza Alimonda, Ulisse, Che Guevara, Cristoforo Colombo. Ma spesso mi metto all'ascolto di pezzi dove l'attenzione è rivolta ai volti meno noti, gli sfigati, gli incompresi: il Matto, Cencio, il Frate, eroi a loro modo, gente che vive sopra il conformismo ma ne è spesso vittima. Mi piace anche il Guccini delle rare canzoni d'amore, cantate quasi con pudore e senza traccia di banalità. Il Guccini delle domande consuete, convinto che" fare domande sia meglio che azzardare risposte, perché interrogarsi presuppone ricerca, e a rispondere si rischia l'arroganza". In fondo, ha sempre senso cercare l'isola incantata, ma è necessario guardarsi bene dal non trovarla.
Questo articolo è anche da Mio Capitano.

29 ago 2007

Della paura e del coraggio







Che cos'è che fa i silenzi più ostinati..
Che cos'è che fa le camere più grandi..
I rapporti tra le persone sono complicati, come i corridoi di un labirinto,
dove si finisce con lo smarrirsi.
Quando si trova l'uscita è già troppo tardi, perché si è già imboccata un'altra strada.
Ho investito molte delle mie risorse lungo quei corridoi, ma non posso e non voglio tornare indietro. Ora indugio davanti all'uscita e mi fermo perché ho paura. Ma non potrò farlo a lungo.
E nel mentre attendo la notte per riposare, per placare le mie ansie, per coprirmi perché sento freddo. Passerà, so che passerà...lo ripeto a me stessa in vari momenti e con stati d'animo contrastanti. Con rabbia, con ilarità, con un pianto silenzioso, con smarrimento...niente di assurdo, tutto è dannatamente normale. Devo solo oltrepassare quella soglia.....e avrò comunque vinto la mia battaglia.
C'è una forza che giace addormentata dentro ognuno di noi e si desta quando sente quel richiamo , un richiamo che è per lei, solo per lei. In quel momento. Non prima, non dopo.
Non puoi non ubbidire a quel richiamo. Devi solo andare.

20 ago 2007

Piccoli scugnizzi crescono


Napoli è Napoli. Una città piena di vita e di contraddizioni.
Piazza Dante, ingresso di Port'Alba.
Tre ragazzini giocano a pallone a ridosso dell'ingresso della stazione della metro. Si avvicinano un gruppo di turisti pakistani. Fa caldo, sono stanchi. Le panchine sono occupate. Si siedono ai bordi della recinzione in vetro dell'ingresso della metro, nello stesso punto in cui i ragazzini calciano il pallone. Osservo. Penso che a quel punto i ragazzini decidano di rivolgere le loro pallonate altrove. Niente del genere. I tre iniziano a gesticolare chiedono ai malcapitati turisti di andar via...insomma loro stavano giocando. I turisti sorridono. Anche loro, come me, pensano che scherzino. Insomma, sei adulti stanchi e accaldati che si riposano....Niente del genere. I ragazzini iniziano a pallonare contro i poveri turisti come se nulla fosse. Quelli li guardano increduli, sorridono, ma poi capiscono che i tre fanno sul serio. Alla fine, stanchi, increduli e inferociti si alzano, urlano qualcosa ai tre scostumati che di rimando iniziano ad insultarli con frasi e gesti osceni e volgari. Sono allibita. Quelli non avevano paura di nulla. Quello era il loro campo da gioco, quello era il loro territorio.
Mi ritrovo spesso a pensare che oramai non mi sorprendo più di nulla. Non è vero.
Si parla di crisi dei valori tradizionali e non si può negare che ci sia, ma il rispetto dell'uomo per l'uomo è qualcosa che dovrebbe essere connaturato nell'essere umano.. così non è.
Il rispetto va insegnato e questo non sempre accade. E non sempre per colpa o difetto.
Il destino sembrerebbe segnato alla nascita, dalle condizioni sociali e ambientali. Talvolta può accadere che un fatto fortuito, un incontro casuale possa condurre una vita già segnata su binari più fortunati. Mi piace pensare che questo possa accadere anche a quei ragazzini....

25 lug 2007

L'Uomo che ride




Mario era un uomo solo. Aveva poco più di sessant'anni quando lo conobbi, ma l'alcool e la solitudine lo facevano apparire più vecchio. Era stato professore di filosofia all'università, scriveva poesie, parlava correttamente sette lingue, attento osservatore del genere umano e gran disquisitore e conoscitore dell'umano sapere.Aveva una ex moglie ed una figlia. Allora vivevo da sola e lui occupava il monolocale di fianco al mio. Mi colpì subito quest'uomo elegante e galante. Fu facile fare amicizia con lui.Ci incontravamo per le scale, un sorriso timido, poi il saluto e due chiacchiere. Lui andava a pranzo in una trattoria l' vicino. Un giorno lo invitai a passare a prendere il caffè da me. Quei pomeriggi diventarono una bella consuetudine. Tra il caffè, il limoncino e un pacchetto di sigarette si parlava di tutto. Mi aiuto con l'esame di glottologia e le iscrizioni etrusche. Abitavamo in vecchio palazzetto nobiliare, trasformato, per esigenze economiche del proprietario, in piccoli appartamenti. Il suo appartamento era identico al mio, ma nel suo si respirava un'aria di antico benessere. C'era un prezioso tappeto sul pavimento dell'unica stanza che fungeva da soggiorno e stanza da letto, dei preziosi quadri alle pareti,oggetti d'arte di stimato valore e una quantita impressionante di libri sparsi dapperttutto.
Una notte, rientrando a casa con due amici, ci venne l'idea di passare da lui per saluto. Ci aprì la porta, era un po' scomposto ma ci fece entrare ugualmente. Non era solo. Insieme a lui, scomposta anche lei, una tossica della zona, trasformatasi in prostituta per pagarsi la dose e per lenire la solitudine di qust'uomo. Facemmo finta di nulla, ci trattenemmo un po' ed andammo via.
Mario perse la testa per me e io naturalmente non me ne accorsi. Non me ne accorsi nonostante i bigliettini sotto la porta, il fiore che di tanto in tanto lasciava sulla maniglia e i tappi di bottiglia lasciati sulla soglia, dove lui disegnava una faccina sorridente con il pennarello.
Me ne resi conto quando me lo disse con le lacrime agli occhi e con consapevolezza che quella che per lui era un'essenza di vita non sarebbe mai stata sua. Capii che dovevo prendere le distanze da lui, senza pormi troppe domande o crucci. E così feci.
Un giorno seppi che il padrone di casa gli aveva recapitato lo sfratto per morosità. Lui aveva una pensione che gli permetteva di vivere decorosamente, ma i suoi soldi finivano sempre nelle tasche di approfittatori più disgraziati di lui.
Una mattina, di rientro dall'università, lo trovai in mezzo alla strada, davanti al portone di casa. Era seduto sull'unica valigia che era riuscito a riempire con le sue poche cose. La casa era già stata svaligiata da un energumeno che si diceva suo amico. Era seduto su quella valigia e piangeva. scappai. Rientrai a casa la sera tardi e lui non c'era più. Non seppi più nulla di lui.
Oggi mi so svegliata con l'immagine di Mario davanti agli occhi. Forse l'ho sognato, non so. Ho frugato nella scatola degli scheletri ed ho ritrovato le sue lettere, i suoi biglietti e un libro di Hugo: L'uomo che ride.

7 giu 2007

Madre


Siamo lontane tu ed io.
Son stata dentro di te e ti ho sentita accanto a me sino a quando la mia anima non ha iniziato a scalpitare e ha desiderato seguire i suoi percorsi.
E’ accaduto presto, troppo presto.
Bambina, adolescente, donna.. e tu sempre lontana.
Lontana da me , lontana da tutto ciò che non capivi.
Lontana da mio padre. Lui era “troppo” per te. E tu troppo stupida per comprendere quell’ unica cosa che quell’uomo ti chiedeva: complicità, solo complicità.
C’è stato un momento, più tardi, in cui ti ho sentita accanto e ti ho compresa.: è stato quando la maternità mi ha sfiorata. E’ durato poco..un raggio di sole coperto da una nuvola.
Poi di nuovo lontana, come sempre..come ora.
Ho chiesto il tuo aiuto , da figlia a madre; ti ho raccontato, da donna a donna;
Un attimo, per un attimo mi hai guardata e con quello sguardo mi hai sussurrato: “ sono con te”.
Ma è durato poco, troppo poco..ancora una volta.
Io sono il quadro a cui non riesci ad adattare la cornice.
Rassegnati….non esiste quella cornice.
Tu resterai...io andrò!

7 mag 2007

La valigia


La valigia sul letto è quella di un lungo viaggio..recitava una vecchia canzone, ma questo non è un viaggio come tanti. Apro la mia valigia, la stessa di quando avevo vent'anni, quella con la quale son partita e ritornata dieci, cento, mille volte, con un carico di sogni, entusiasmi, progetti. La apro e mi sorprendo nel constatare che non è vuota. Frugo e trovo brandelli stropicciati di vita, frammenti che si son salvati dall’incuria che negli anni ho avuto di me stessa; cerco ancora..e ritrovo sogni accarezzati, riposti male ma che scalpitano nel momento in cui sentono il tocco delle mie mani. Pare un miracolo. Ed io mi sento come allora. Mi specchio. Forse è un illusione, ma non vedo più quelle sottili rughe ai lati dei miei occhi. E gli occhi, gli occhi hanno la stessa luce, quella luce svanita, ricercata e dimenticata. Mi assale l’entusiasmo e, con l’entusiasmo, la confusione, la frenesia . Che mettere in valigia? Certo, solo il necessario….inizio con la pazienza. Avrò bisogno di vagonate di pazienza. Per tollerare me stessa, prima di tutto. Non è più tempo di capricci, di voglio tutto e subito, di spalle coperte e colpi di testa parati. Da altri. Ora è tempo di camminare sulle mie gambe, di costruire da me e per me. Con cautela e a piccoli passi. E avrò bisogno della pazienza per sopportare quello che inevitabilmente mi rotolerà addosso.Gli errori si pagano..ma io non li chiamo errori. La pazienza ha occupato un consistente spazio nella mia valigia….ma non posso ridurla. Continuo…un angolo per l’incoscienza lo voglio trovare, magari sacrifico un po’ di buonsenso ( ho detto un pochino, che palle!) che troppo fa male e il viaggio diventa pesante. C’è ancora spazio….spazio per il coraggio, quello che mi ha guidato sinora e quello di cui avrò ancora bisogno. Stringo, sistemo, sposto…rimane un angolo vuoto, ma qui mi fermo. Ciò che metterò in quel piccolo angolo rimasto… lo tengo per me. E’ intimo, prezioso e talmente delicato che lo sistemo con cura per timore che si infranga. E' un desiderio...e i desideri si esprimono,non si confessano!

5 apr 2007

Per Me

Oggi me la canto e me la suono da Me...
Per Me che posso mettere a tacere ogni cosa ma non la voce del mio cuore.
Per Me che amo non per noia, solitudine o capriccio e mi consegno senza difese senza chiedere nulla in cambio..
Per Me che mi incazzo, chiedo scusa e perdono chi non lo fa.
Per Me che posso ancora scegliere la vita che vorrei..
Per Me che amo i graffi incisi sulla mia pelle
le gocce di sale che hanno rigato il mio viso
la rabbia che mai si è vestita di odio
il dolore che ha forgiato la mia anima e l'ha resa libera..
Per Me che vedo ancora la luce nel buio
che sento i suoni che le labbra trattengono
che leggo un mondo in uno sguardo
che tocco per sentire..
Per Me che desidero e non mi accontento di desiderare..
Per Me (cito Pessoa) che "..non sono niente non sarò mai niente non posso voler essere niente ma, a parte questo....ho in me tutti i sogni del mondo".
Per Me oggi io sorrido...

19 mar 2007

In direzione ostinata e contraria

In direzione ostinata e contraria...vado
In direzione ostinata e contraria rispetto alla strada tracciata,
al sentiero conosciuto, al cammino intrapreso da un altra me...che non esiste più. Un'Altra me..peggiore..migliore, che cosa cambia? Un 'Altra.
Vai a spiegare al mondo che non esisti più..
Vai a spiegare la tua angoscia, quel sentirti soffocare, la paura di perderti, la tua voce che si affanna per trovare una via d'uscita...
Vai a spiegare al mondo che hai paura di ricominciare da capo, hai una fottutissima paura pure tu, e hai paura più di loro..perchè è della tua vita che si parla.
Vai a spiegare che quando ti accorgi che l'acqua ti arriva alla gola, nell'ultimo istante, quello che un soffio separa la vita dalla morte, quando stai per soccombere....raccogli le forze smarrite nei labirinti delle paure ...
e ci sei tu e quello che rimane della tua vita
e c'è un seme da piantare
un germoglio da osservare con incanto
una tenero virgulto da proteggere dalle intemperie, dai parassiti ..
un 'albero forte e possente che nulla potrà piegare.
Vai a spiegare al mondo....
In direzione ostinata e contraria...vado rispetto alla vostra, certo........non alla mia.

6 mar 2007

Il Viaggiatore

Un giorno, ad una domanda postami da un' amico, ho risposto con un passo di "Viaggio in Portogallo” di José Saramago:
“..quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto :“non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si era visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati per ripeterli e per tracciarvi accanto nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre”.
Oggi mi ritorna in mente questa riflessione e mi accorgo che sta sulla mia pelle come un abito fatto su misura. Spesso e superficialmente, nel corso della mia vita, sono stata tacciata di incoerenza, di contraddizione, di labilità di pensiero, parole ed azioni…. La risposta è nelle parole di Saramago che mi riportano al “ panta rei” di Eraclito, tutto cambia fuori e dentro di noi. Mi piace l’idea del “divenire”, della trasformazione, dell’essere precari, provvisori. Mi pare che avere un’ identità equivalga a fermare un’evoluzione, contrastare quel flusso dinamico di energia presente dentro ognuno di noi.
Vedere di nuovo quel che si è già visto, con gli occhi di ieri, di oggi e di domani…….con rinnovata meraviglia, incanto , stupore..

27 feb 2007

Emma c'est moi

Tu sai quant'è difficile il salto tra l'essere, il non essere e il fingere di...
tra il vivere, il non vivere e il rinascere,
tra la rabbia, il tedio e la voglia di..
tra sentire dolore e procurare dolore,
tra mediocrità e intensità,
tra il tempo andato e il tempo a venire,
tra un crudele rimorso e un dolce rimpianto.
Tu conosci quel moto di mare che si agita tra una sponda e l'altra,
l'amarezza di desideri che rimangono tali,
mostrare un'anima e combatterne dieci, cento...
Qual'è il tuo peccato, Emma? Vivere?
Che patetica!

19 feb 2007

Yo soy Don Quijote

La poesia riportata in calce è un testo del poeta turco Nazim Hikmet. Questa poesia ha ispirato un lavoro teatrale "Chisciotte e gli invincibili" (musica e poesia,ancora in programmazione) portato in scena dal ferroviere-cantautore di Cuneo Gianmaria Testa, su un testo inedito dello scrittore-operaio Erri de Luca, anche lui fortemente infatuato dell'eroe senza tempo di Cervantes.

" Dedicato a tutti quelli che non si arrendono..."
Gli invincibili non sono quelli che vincono e vogliono vincere sempre ma coloro che non si fanno abbattere dalle sconfitte.
Quelli che vincono sempre sono i vincenti e i vincenti, quando cadono, cadono male e spesso non trovano in se stessi forza e motivazioni per rialzarsi; gli invincibili son coloro che non si arrendono, cadono, si rialzano, continuano a cadere e vanno avanti.
Sono degli antieroi positivi, persone che tentano di riappropriarsi di se attraverso personalissimi percorsi di coscienza. In loro non c'è pessimismo ma speranza.
Si, Yo soy Don Quijote, valoroso hidalgo e tu, Sancio, mio fedele scudiero, seguimi se vuoi ma lasciami vivere la mia lucida follia.. Li vedo i mulini a vento, sai? So che non son giganti. E la dolce Dulcinea, gran bella prostituta..e quel folto esercito di Mori...pecore, pecore e basta...
Cleide


DON CHISCIOTTE
Il cavaliere dell'eterna gioventù
segui, verso la cinquantina,
la legge che batteva nel suo cuore.
Partì un bel mattino di luglio
per conquistare, il bello, il vero, il giusto.
Davanti a lui c'era il mondo
con i suoi giganti assurdi e abbietti
sotto di lui Ronzinante triste ed eroico.
Lo so quando si è presi da questa passione
e il cuore ha un peso rispettabile
non c'è niente da fare, Don Chisciotte,
niente da fare è necessario battersi contro i mulini a vento.
Hai ragione tu, Dulcinea é la donna più bella del mondo,
certo bisognava gridarlo in faccia ai bottegai,
certo dovevano buttartisi addosso e coprirti di botte,
ma tu sei il cavaliere invincibile degli assetati ,
tu continuerai a vivere come una fiamma
nel tuo pesante guscio di ferro
e Dulcinea
sarà ogni giorno più bella

Nazim Hikmet

4 gen 2007

Uno, nessuno e centomila

Ci son momenti, nella nostra vita, in cui vorremmo essere capaci di razionalizzare tutte le sensazioni, perchè prenderle così come si presentano, sembra che ci possano sommergere.Prendi il dolore:ti consuma, ti fa scoppiare la testa, ti fa stringere i pugni e piangere con te stessa, senza sapere perchè.Prendi la felicità:ti fa sorridere e gridare, ti fa dire e fare cose fantastiche, ti fa vedere il mondo colorato, ma gli altri non si accorgono e questo ti fa ridere, vedere la cecità di tanti cuori..Prendi la malinconia:si presenta senza avvisarti, in mezzo a milioni di persone, anche quando ti ubriachi e parli, parli, anche quando va tutto bene.Prendi la rabbia:ti fa venir voglia di scappare e di prendere a calci tutti i semafori della città e quando son finiti prendere di mira le vetrine dei negozi!Ma come puoi delimitare queste sensazioni? Non puoi!Sei costretta a prenderle così come si presentano e basta!Qualcuno mi disse che bisogna dare ascolto solo ai nostri impulsi migliori, ma io dico che bisogna avere il coraggio di guardare in faccia i nostri peggiori difetti, per gli altri ma soprattutto per noi stessi.Siamo "Uno, Nessuno e Centomila" ma ogni tanto vorremmo essere quello che siamo.