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2 mag 2009

Autostima-a-a-a


- Allora, Cleide, lo vogliamo scrivere o no questo benedetto nuovo post? La gente tra poco comincerà a telefonare a “Chi Blog l’ha vista?” se non butti giù qualche riga.
- Lo farei volentieri, Capitano, ma non ho nessuna ispirazione. Tutte le idee che mi vengono mi sembrano banali e mosce. Scrivere un post mi pare un’impresa titanica.
- Ma quale impresa titanica! Che ci vuole a buttare giù due righette da diaro virtuale. Puoi parlare della patente che vuoi prenderti, dei cani rompiballe della vicina o di quella artista tedesca che incontrammo a Caserta Vecchia, te la ricordi? Quella pazza che compariva nel buio come Belfagor e minacciava di frustarti se ti scordavi di salutarla. O meglio ancora puoi raccontare il viaggio che hai fatto ieri a Olbia nella Bmw decapottabile, con tanto di capelli al vento. Scrivi il post e io ci metto il video di “Good morning Starshine” dal film Hair. Ci farai una figura splendida, da Hippy Webby, mentre descrivi il grido di libertà che lanciavi sull’autostrada Alghero-Olbia, con il vento caldo odoroso di anni Sessanta che ti lisciava i capelli e ti sussurrava paroline dolci.
- Oltre al fatto che non ho la più pallida idea di cosa sia una Hippy Webby, siamo stati con la capote abbassata solo per qualche chilometro perché c’era un vento che più che di anni Sessanta odorava di merda di cavallo.
- Vedi come sei rompiscatole e antiromantica? Che importanza hanno un chilometro o cento, o se il vento odorava di cacca di cavallo o di Figli dei Fiori? Ciò che conta sono le sensazioni. Le emozioni. E poi ti ho detto mille volte di colorire letterariamente un po’ le tue esperienze.
- Che significa colorire, mi devo inventare tutto?
- Quale inventare. Significa che vai a prenderti una pizza da Peppino La Bomba e scrivi sul blog che sei stata a cena al ristorante cinque stelle Royal Society, ti fai una passeggiata serale sul desolato lungomare algherese e dici che sei scesa in spiaggia di notte e ti sei fatta il bagno con tutti i vestiti. Incontri un tuo ex che ti sbadiglia in faccia e ti dice ciao sbagliando il tuo nome e giuri che ti ha salutato piangendo e che ti ha implorato di tornare con lui. Capisci? Non si tratta di mentire, ti prendi qualche piccola licenza poetica.
- Ho capito, tra poco mi consiglierai di fare come il Giomba quando strombazza che tutti lo amano, che ha vinto tremila premi per il suo blog da Pizzighettone Net a Cazzago Web e che i network americani si sbracciano per intervistarlo.
- Certo, fa come Giomba, scrivi che hai vinto centinaia di premi con il tuo blog o con il tuo sorriso sfrontato, scrivi che i vip ti cercano e ti amano. Metti sulla colonna laterale qualche centinaio di commenti genuflessi in cui tutti giurano che sei brava, bella e intelligente e che il mondo senza di te non può andare avanti. Se non hai niente sottomano, te ne scrivo io una ventina seduta stante.
- Sei pazzo? Poi passa Celia e le viene un colpo e si chiede se mi sono presa una giombite acuta. Però quella storia del video di “Good Morning Starshine” non è male. In effetti la corsa nella decappottabile me la sono fatta, i capelli svolazzavano sull’autostrada e per qualche nanosecondo me la sono sghignazzata pure come Jacqueline Kennedy, con un foulard supershocking annodato al collo.
- E non scordare il vento.
- Certo, Capitano, ora che mi ci fai pensare il vento sull’autostrada profumava proprio di anni Sessanta e, anzi, direi proprio che mi sussurrava nelle orecchie con la voce di uno chansonnier alla Jacques Breil. Sai quella canzone che dice “Je t’inventai” o meglio ancora “je te parlerai” di “le rouge et le noir”, e non scordiamoci “Ne me quitte pas”. Insomma quelle minchiate lì… cioè volevo dire quelle splendide perle sentimentali. Sìììì, ne sono sicura, ieri sull’autostrada, mentre facevo Jacqueline nella Bmw decappottabile il vento, con la voce precisa di Jacques Breil, mi implorava: “Non abbandonarmi”.
- Ecco, così sì che mi piaci. Evvaaaaiiii.

10 gen 2009

Busso io? No tu no!


- Hai preso il biglietto per il concerto di Guccini a Roma, Cleide?
- No, Capitano, erano già esauriti e dire che avevo un volo da Alghero per soli venti euro. Che sfortuna, ci tenevo molto a vedere Guccini.
- Non c’è nessun problema, se lui non viene da noi andremo noi da lui.
- Che intendi dire?
- Scusa, non hai detto di sapere dove abita il cantautore modenese? Non era uno di quei paesini emiliani dove la gente si ritrova nelle osterie a giocare a tressette col morto? Non hai detto che se bussi alla porta di Guccini, lui ti apre e ti invita pure a entrare a casa sua?
- Vorresti bussare alla porta di Francesco? Tu sei pazzo non ne avrò mai il coraggio!
- Lo faccio io per te. Perché non dovrebbe essere ospitale con due suoi fan come noi?
- Che diavolo dici? Io sono una sua fan, tu di Guccini conosci solo qualche canzoncina di terza mano captata qui e la.
- Non stare a sottilizzare. Sul cantautore modenese tu ne sai a sufficienza per tutti e due. Allora ci stai? Andiamo lì, lo conquistiamo con la nostra parlantina e ci facciamo suonare pure qualche pezzo da Cyrano o da Don Chisciotte.
- Sì, e magari tu gli fai gli sciummpa-pah di sottofondo agitando il culetto! Che ti salta in mente? Noi siamo le persone meno dotate di parlantina sulla faccia della terra. E tu hai la chiacchiera libera solo quando inveisci contro qualcuno o qualcosa. Vuoi andare a casa di Guccini a imprecare contro le raccomandazioni alla Rai o contro la stupidaggine dei film che ti scarichi da internet? Magari lo convincerai a cantarti “L’avvelenata” prima di farti spaccare la chitarra in testa.
- Sei sempre così negativa. Sono sicuro che ci farà entrare a casa e ascolterà ciò che abbiamo da dirgli. Parli tu che sei più simpatica e poi ti sei pure sciroppata tutti i suoi romanzi e i suoi saggi di dialettologia emiliana o quello che erano. Poi intervengo io con la mia canzone. Magari lo convinco pure a cantarla e portarla al successo.
- E questa da dove è uscita fuori? Tu non hai nessuna canzone da proporre a chicchessia. Anzi tu non sai suonare nemmeno le pentole antiaderenti o la caffettiera Bialetti da sei tazze.
- Come ti sbagli! La canzone ce l’ho. Si chiama “Amore in caduta libera” e l’ho scritta per quella tizia di Tiscali.
- Quella pazza che giurava di conoscere un direttore d’orchestra che aveva suonato per papa Wojtila ed era follemente innamorato di lei? Questa sì che è una referenza coi fiocchi.
- Forza, andiamo da Guccini, tu gli parli del più e del meno, gli citi qualche suo verso facendo gli occhioni sognanti, gli dici che è un genio e fai quasi la faccia delle ragazzine che svenivano ai concerti dei Beatles e poi intervengo io con la mia canzone.
- Posso fare Oh yeeeaaahhhh in chiusura con una smorfia sarcastica del viso?
- Certo, fa oh yeaaahh, fa oh bleeeaaahhh, fa oh meee-aaaahhhh e andiamo a bussare alla porta di Guccini.

3 dic 2008

Emma non Emma



Emma che va pazza per le borse, ne compra a decine, ne regala a decine e ne ricompra quanto più le consentono le tasche.
Emma che ha freddo freddo d'inverno e caldo caldo d'estate, che ride ride quando è allegra e piange piange quando è triste.
Emma che ha letto tutto sulla Resistenza e che non si è laureata solo a causa di uno dei suoi colpi di testa.
Emma che si siede a tavola tutta perfettina e mangia perfettina, che fa sforzi inauditi per non alzare il mignolo quando beve dalle tazzine di caffè.
Emma che invidia una ragazza con un abito ottocentesco che legge Jane Austen sul lungomare nel via vai di sciatti turisti in zatteroni e bermuda color vomito.
Emma che corre alla stazione a salutare quello che crede essere l'unico amore della sua vita, con il piccolo particolare che l'unico amore non sa nemmeno che lei esiste.
Emma che si dà arie da dura, legge poesie d'amore di nascosto e non sa che farsene dei sogni a occhi chiusi.
Emma rompiscatole che si infervora come una divetta degli anni Cinquanta o una maestrina idealista d'altri tempi.
Emma innamorata capace di buttarsi senza rete da un ponte più alto del cuore matto di Little Tony.
Emma che non si lagna mai di niente con gli altri e che ascolta gli amici lagnarsi di tutto e soprattutto dei loro noiosissimi amori.
Emma che si commuove per la morte di un cane avvelenato anche se è avvenuta vent'anni fa.
Emma che si lava i capelli a ogni pie' sospinto.
Emma che scende da una scala di albergo con un coraggio da leone perché a scendere certe scale tremerebbero le gambe pure a guerrieri omerici.
Emma che in realtà forse si chiama Monica e che magari sarebbe dovuta vivere in un altro secolo.
Emma stupida, Emma retorica, Emma isterica, Emma avventata, Emma cocciuta, Emma bambina, Emma ombrosa, Emma gelosa, Emma come ce n'è una: Emma che non puoi dimenticare.


Post scritto da Mio Capitano

16 feb 2008

Gli occhi dell'amore


La bambina guarda la goccia d'acqua che scorre sul vetro della sua stanzetta. Fuori piove. Le stille inclinate d'acqua si tuffano in pozzanghere illuminate dai lampioni creando effetti suggestivi. Il crepitio della pioggia è come una musica che ti spinge a fantasticare. Lo stesso fanno i fischi del vento e i coni di luce delle auto che sulla strada laggiù rischiarano scrosci d'acqua come riflettori di teatro. Cosa farò da grande? si domanda la bambina. Che lavoro farò, come mi vestirò, classico o sportivo, metterò perline anni Cinquanta o piercing, quali persone frequenterò e, soprattutto, conoscerò pure io quella cosa di cui si parla dovunque, nei film o nei talk show televisivi? Conoscerò l'amore, quello vero, quello che ti stringe qui dentro, quella cosa che rende ragazze e signore così svagate e allegre, che dipinge i loro visi del colore della pesca matura? E gli occhi! si dice la bambina guardando la goccia d'acqua che scivola sul vetro inglobando altre stille sul suo cammino, ora rallentando e ora accelerando. Avrò pure io gli occhi luminosi che hanno le ragazze più grandi quando parlottano sottovoce del loro lui con le amiche, mezzo invidiose e mezzo ammirate? Voglio avere pure io quegli occhi. Devono essere grandi e lucidi, con le pupille dilatate, e voglio che magari splendano nell'oscurità come quelli dei gatti. Quanto tempo dovrò aspettare? La ragazza della porta accanto ha solo quattordici anni e ha già gli occhi giusti. Quando ti guarda si illumina tutta. Voglio pure io gli occhi dell'amore!

La goccia di pioggia ormai ha completato la sua discesa sul vetro della finestra, ma ce ne saranno altre. "A che stai pensando, cara?" domanda una voce dalla cucina.

"A quando sarò grande, mamma", risponde la bambina alitando sul vetro. Nella porzione di vetro appannato, disegna col dito un paio di occhi mentre sorride.

Post scritto da Mio Capitano

20 nov 2007

In fondo all'anima cieli immensi




Mio Capitano. Cielo grigio su, foglie gialle giù, zaino in spalla e tanta voglia di lei, madama avventura. La domanda non è se, ma dove. Non se abbiamo fantasticato un giorno - quando in testa avevamo più sogni che capelli - di piantare tutto e inseguire i capricci della nostre mente smaniosa, ma dove desideravamo andare.
Per me la risposta è semplice. America. La sola America possibile, quella del West, del detective Marlowe e di Hollywood, ossia dell'unico posto al mondo, lo pensavo tanto tempo fa e lo penso tuttora, in cui il cinema diventa talvolta magia. C'era un tempo in cui mi vedevo aggirarmi per le lunghe autostrade del West, in mezzo ai grandiosi paesaggi che facevano da sfondo ai film di John Ford, o vagare tra i grattacieli di New York a naso in su, sperando di cogliere le capriole dell''Uomo Ragno alle prese con la perfidia di Elektro, Octopus o Goblin padre. Idolatravo l'America, anche se ne vedevo i difetti. Egoismo, arrivismo, magnati succhiasangue, scandali politici e guerre sbagliate. E però c'erano pure l'idealismo di Kennedy o del New Deal, i movimenti dei diritti civili, le rivolte universitarie, la contestazione alla guerra del Vietnam, il rhythm & blues.
Ebbene avevo e ho tuttora una zia in America. Per molti anni il fatto di poter contare nella mitica New York di una base in cui farmi ospitare ha scatenato la mia immaginazione. Davo per certo di far visita un giorno alla mia parente, magari in compagnia di amici con cui mi sarei poi avventurato in un attraversamento da costa a costa fino a Los Angeles. Mi vedevo arrivare zaino in spalla nelle cittadine del West e fare colpo sulle procaci ragazzone americane con la mia zazzera partenopea e la maglietta arrotolata sulle robuste braccia abbronzate. Certe volte ho proprio sognato di notte di andare a casa di mia zia, di muovermi da solo per le strade di New York. A quel tempo mi informavo quasi ogni giorno sul costo del biglietto aereo per una trasvolata oceanica. L'ho trovato sempre ben superiore alla capacità delle mie tasche, anche quando c'erano offerte e sconti. Poi un giorno ho smesso di pensare al costo del biglietto aereo. Semplicemente sapevo che non sarei andato più in America. E anche se ci fossi andato, la mia vacanza non sarebbe stata mai quella vagheggiata da adolescente. C'era un tempo per ogni cosa e quel tempo era passato. Ci sono molti sogni nella vita. Solo pochi si realizzano. Be', non si può avere tutto e forse è bene che sia così.
Cleide. Io non ho avuto la zia d'America, ma voglia di avventura tanta. Sogni grandi come case e coraggio e forse sconsideratezza da vendere. Colombia, Perù, Cile per arrivare in Patagonia. Tutta l'America latina. Il Messico, i paesi centroamericani. Nella mia mente solcavo nazioni come se fossero strade. Forti le gambe e ancora più forti i sogni. Però mi vedevo con il mio fedele zaino in spalla soprattutto sui terreni accidentati del Cile, in mezzo alle andine facce scolpite dei discendenti incas, su montagne dove il tempo pareva essersi fermato insieme con le tue angosce. Sapevo di avere la forza e l'ardimento necessari per percorrere il continente sudamericano da cima a fondo, magari accompagnata dalle struggenti melodie degli Inti llimani o dalla voce unica Violeta Parra che ringraziava la vita al mio posto per avermi condotto in terre dove il cuore degli uomini batte più forte.
Non so da dove nasca la mia passione per l'America latina. Magari dal fatto che il solo dialetto parlato nel mio angolo di Sardegna è la lingua catalana. Magari dal fatto che ho mangiato pane e spagnolo fin da quando ero alta così. Spesso penso che in un'altra vita quel lontano continente mi apparteneva. Forse sono stata una sacerdotessa maya o un'umile lavandaia azteca, chissà. Sono tuttora iscritta al sito di Gianni Minà e niente mi rende più felice che impossessarmi dell'ultimo libro di Isabel Allende, Angeles Mastretta e Marcela Serrano o crogiolarmi al caldo e luminoso canto di Gloria Estefan.
Ricordo l'emozione di quando il mio professore di letteratura spagnola e ispanoamericana - un romanzesco personaggio peraltro amico fraterno di Pablo Neruda - mi presentò Luis Sepulveda. Mi trasformai in un attimo in un'ebete a bocca aperta. Qui davanti a me c'era questo straordinario essere dallo sguardo magnetico che mi fissava di tanto in tanto come se mi conoscesse. E qui pendeva dalle sue labbra una fanciulla pietrificata che si chiedeva se avrebbe mai riacquistato il dono della parola. Sepulveda parlò a me e ai miei compagni di corso di suo nonno Gerardo, un anarchico Andaluso fuggito in America latina per scampare a una condanna a morte. Ci disse di quand'era guardia personale del presidente Allende. Dio mio, quell'uomo era stato a braccetto con Allende, era stato arrestato durante la dittatura di Pinochet subendo le infami torture il cui ricordo echeggiava in quell'aula universitaria sassarese! La storia siamo noi, cantava De Gregori. Può darsi, ma la storia per me quel giorno era soprattutto quest'uomo placido che aveva visto in faccia una delle peggiori dittature del secolo e non aveva avuto paura. Ho ancora il romanzo Il mondo alla fine del mondo con una sua bellissima dedica, scritta dopo chiacchiere, caffè e tequila.

1 nov 2007

Cuor di Cirano. Cuor di Guccini


Mio Capitano. Partiamo con due affermazioni per nulla scontate: Guccini mi piace e mi piace pure come canta. Non credevo che un giorno avrei detto cose simili perché ai tempi del liceo vedevo l cantautore modenese come fumo negli occhi. Mi pareva un interprete lagnoso, uno di quei beccamorti musicali che si sarebbero meritati di essere presi a chitarrate in testa come fa il mitico John Belushi in Animal House. Bastava l'eco del suo vocione per farmi scappare lontano.Poi un giorno mio fratello il musicista - ha suonato il basso in qualche gruppetto musicale - portò a casa un doppio cd di Guccini registrato dal vivo. Io subito storsi la bocca ironizzando sui gusti musicali del consanguineo. Però accadde un fatto strano. Mio fratello all'epoca aveva l'abitudine di ascoltare la musica a volume altissimo, per cui anche se sprangavi due o tre porte tra te e lo stereo ascoltavi perfettamente ciò che non volevi ascoltare. Di conseguenza fui costretto ad accorgermi che molte delle canzoni del doppio cd mi piacevano. Ricordo ora "Dio è morto", "Canzone per un'amica", "Il vecchio e il bambino" e tante altre.Notai un particolare a me ignoto in quell'occasione. A dispetto di ciò che avevo sempre creduto Guccini aveva nel suo repertorio anche canzoni romantiche, spesso trattate con una profondità di sentimenti e una sensibilità di cui non credevo capace il cantautore emiliano. La canzone in assoluto che mi conquistò fu "Cirano". Rimasi più che stupefatto quando mi accorsi che nella registrazione dal vivo le parole di Guccini erano accompagnate da un coro di ragazzine e signore innamorate, in un modo non molto diverso da come si sarebbe fatto a un concerto di Eros Ramazzotti o di Claudio Baglioni. Adoro "Cirano" (con la i come lo scrive il cantautore modenese), ma la adoro soprattutto in quella versione dal vivo.Guccini a mio vedere è bravo, ma diventa irraggiungibile quando tratta temi riguardanti eroi maledetti e soli, erranti cavalieri incompresi che combattono contro i mulini a vento sferzando ipocrisia e conformismo dilaganti. E' bravo, Francesco, quando parla di una "ragazza bionda senza averne l'aria", "filosofando pure sui perché", ma è un gigante, il più grande gigante della canzone italiana, quando veste i panni di Cirano ("Io sono solo un povero cadetto di Guascogna / però non la sopporto la gente che non sogna") o di don Chisciotte (colpirò con la mia lancia l'ingiustizia giorno e notte / com'è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte...). Guccini è questo, l'eroe letterario e sfortunato che si innamora delle cause perse e delle donne sbagliate. L'eroe crepuscolare che fa sentire te eroe. E ora passo la parola a Cleide, che sull'argomento Guccini ne sa molto più di me e di quasi ogni altra persona in questi paraggi.
Cleide. Mi lusinghi Capitano, ma sono solo una povera cadetta di Sardegna, con un debole per la gente leale e degna come il cantautore dell'Emilia Romagna. Non so se sarò capace di scrivere di Guccini nel ristretto spazio di un post. Questo perché il mio interesse per il Cantastorie Francesco, come ama essere definito, non è solo discografico, ma abbraccia la sua ventennale attività di narratore e romanziere. Infatti, anche se non è noto a tutti, l'ex Avvelenato della canzone italiana ha scritto molto. Dai gialli, prodotti in collaborazione con Loriano Macchiavelli, ai racconti sulla sua Padania, terra da non intendersi assolutamente in senso leghista, alla dotta trattazione degli idiomi galloitalici che fanno da sfondo alla sua produzione narrativa. Il filo conduttore della produzione artistica gucciniana è la memoria, l'ancoraggio alle sue radici culturali, la tradizione popolare. In ogni caso mi affascina l'uomo, con la scorza di saggio montanaro, che si dimostra profondo conoscitore di vita e di esperienze senza perdere il suo animo di bambino.Tuttavia, è nei concerti si impara ad amare realmente il cantautore modenese. Ad assistere ad una sua esibizione musicale si rimane sorpresi dall'età dei partecipanti, gran parte dei quali sono giovanissimi. Eppure Guccini è sulla scena da quasi quarant'anni. Ho assistito a diversi suoi concerti e ogni volta la sensazione è sempre la stessa, quella di andare ad incontrare un amico. Francesco è un grande affabulatore, dotato di un sense of humor tutto emiliano, dove l'ironia si unisce all'indignazione e talvolta all'invettiva, senza mai trascendere in banalità o volgarità. Un compagnone, il perfetto complice da osteria che ti arringa su donne e politica mentre mette giù un re di coppe, uno che se lo incroci per strada non esiti a fermarlo per fare due chiacchiere. Ho spesso pensato di andare a Pavana per incontrarlo, e forse, un giorno o un altro, lo farò. Mi piace il Guccini che tu citi, Capitano, quello degli eroi sfortunati e dei cavalieri erranti, mi piace quel pathos che ti fa sentire un brivido lungo la schiena, mi piace il Guccini di Ritratti: Piazza Alimonda, Ulisse, Che Guevara, Cristoforo Colombo. Ma spesso mi metto all'ascolto di pezzi dove l'attenzione è rivolta ai volti meno noti, gli sfigati, gli incompresi: il Matto, Cencio, il Frate, eroi a loro modo, gente che vive sopra il conformismo ma ne è spesso vittima. Mi piace anche il Guccini delle rare canzoni d'amore, cantate quasi con pudore e senza traccia di banalità. Il Guccini delle domande consuete, convinto che" fare domande sia meglio che azzardare risposte, perché interrogarsi presuppone ricerca, e a rispondere si rischia l'arroganza". In fondo, ha sempre senso cercare l'isola incantata, ma è necessario guardarsi bene dal non trovarla.
Questo articolo è anche da Mio Capitano.