25 lug 2007

L'Uomo che ride




Mario era un uomo solo. Aveva poco più di sessant'anni quando lo conobbi, ma l'alcool e la solitudine lo facevano apparire più vecchio. Era stato professore di filosofia all'università, scriveva poesie, parlava correttamente sette lingue, attento osservatore del genere umano e gran disquisitore e conoscitore dell'umano sapere.Aveva una ex moglie ed una figlia. Allora vivevo da sola e lui occupava il monolocale di fianco al mio. Mi colpì subito quest'uomo elegante e galante. Fu facile fare amicizia con lui.Ci incontravamo per le scale, un sorriso timido, poi il saluto e due chiacchiere. Lui andava a pranzo in una trattoria l' vicino. Un giorno lo invitai a passare a prendere il caffè da me. Quei pomeriggi diventarono una bella consuetudine. Tra il caffè, il limoncino e un pacchetto di sigarette si parlava di tutto. Mi aiuto con l'esame di glottologia e le iscrizioni etrusche. Abitavamo in vecchio palazzetto nobiliare, trasformato, per esigenze economiche del proprietario, in piccoli appartamenti. Il suo appartamento era identico al mio, ma nel suo si respirava un'aria di antico benessere. C'era un prezioso tappeto sul pavimento dell'unica stanza che fungeva da soggiorno e stanza da letto, dei preziosi quadri alle pareti,oggetti d'arte di stimato valore e una quantita impressionante di libri sparsi dapperttutto.
Una notte, rientrando a casa con due amici, ci venne l'idea di passare da lui per saluto. Ci aprì la porta, era un po' scomposto ma ci fece entrare ugualmente. Non era solo. Insieme a lui, scomposta anche lei, una tossica della zona, trasformatasi in prostituta per pagarsi la dose e per lenire la solitudine di qust'uomo. Facemmo finta di nulla, ci trattenemmo un po' ed andammo via.
Mario perse la testa per me e io naturalmente non me ne accorsi. Non me ne accorsi nonostante i bigliettini sotto la porta, il fiore che di tanto in tanto lasciava sulla maniglia e i tappi di bottiglia lasciati sulla soglia, dove lui disegnava una faccina sorridente con il pennarello.
Me ne resi conto quando me lo disse con le lacrime agli occhi e con consapevolezza che quella che per lui era un'essenza di vita non sarebbe mai stata sua. Capii che dovevo prendere le distanze da lui, senza pormi troppe domande o crucci. E così feci.
Un giorno seppi che il padrone di casa gli aveva recapitato lo sfratto per morosità. Lui aveva una pensione che gli permetteva di vivere decorosamente, ma i suoi soldi finivano sempre nelle tasche di approfittatori più disgraziati di lui.
Una mattina, di rientro dall'università, lo trovai in mezzo alla strada, davanti al portone di casa. Era seduto sull'unica valigia che era riuscito a riempire con le sue poche cose. La casa era già stata svaligiata da un energumeno che si diceva suo amico. Era seduto su quella valigia e piangeva. scappai. Rientrai a casa la sera tardi e lui non c'era più. Non seppi più nulla di lui.
Oggi mi so svegliata con l'immagine di Mario davanti agli occhi. Forse l'ho sognato, non so. Ho frugato nella scatola degli scheletri ed ho ritrovato le sue lettere, i suoi biglietti e un libro di Hugo: L'uomo che ride.