20 nov 2007

In fondo all'anima cieli immensi




Mio Capitano. Cielo grigio su, foglie gialle giù, zaino in spalla e tanta voglia di lei, madama avventura. La domanda non è se, ma dove. Non se abbiamo fantasticato un giorno - quando in testa avevamo più sogni che capelli - di piantare tutto e inseguire i capricci della nostre mente smaniosa, ma dove desideravamo andare.
Per me la risposta è semplice. America. La sola America possibile, quella del West, del detective Marlowe e di Hollywood, ossia dell'unico posto al mondo, lo pensavo tanto tempo fa e lo penso tuttora, in cui il cinema diventa talvolta magia. C'era un tempo in cui mi vedevo aggirarmi per le lunghe autostrade del West, in mezzo ai grandiosi paesaggi che facevano da sfondo ai film di John Ford, o vagare tra i grattacieli di New York a naso in su, sperando di cogliere le capriole dell''Uomo Ragno alle prese con la perfidia di Elektro, Octopus o Goblin padre. Idolatravo l'America, anche se ne vedevo i difetti. Egoismo, arrivismo, magnati succhiasangue, scandali politici e guerre sbagliate. E però c'erano pure l'idealismo di Kennedy o del New Deal, i movimenti dei diritti civili, le rivolte universitarie, la contestazione alla guerra del Vietnam, il rhythm & blues.
Ebbene avevo e ho tuttora una zia in America. Per molti anni il fatto di poter contare nella mitica New York di una base in cui farmi ospitare ha scatenato la mia immaginazione. Davo per certo di far visita un giorno alla mia parente, magari in compagnia di amici con cui mi sarei poi avventurato in un attraversamento da costa a costa fino a Los Angeles. Mi vedevo arrivare zaino in spalla nelle cittadine del West e fare colpo sulle procaci ragazzone americane con la mia zazzera partenopea e la maglietta arrotolata sulle robuste braccia abbronzate. Certe volte ho proprio sognato di notte di andare a casa di mia zia, di muovermi da solo per le strade di New York. A quel tempo mi informavo quasi ogni giorno sul costo del biglietto aereo per una trasvolata oceanica. L'ho trovato sempre ben superiore alla capacità delle mie tasche, anche quando c'erano offerte e sconti. Poi un giorno ho smesso di pensare al costo del biglietto aereo. Semplicemente sapevo che non sarei andato più in America. E anche se ci fossi andato, la mia vacanza non sarebbe stata mai quella vagheggiata da adolescente. C'era un tempo per ogni cosa e quel tempo era passato. Ci sono molti sogni nella vita. Solo pochi si realizzano. Be', non si può avere tutto e forse è bene che sia così.
Cleide. Io non ho avuto la zia d'America, ma voglia di avventura tanta. Sogni grandi come case e coraggio e forse sconsideratezza da vendere. Colombia, Perù, Cile per arrivare in Patagonia. Tutta l'America latina. Il Messico, i paesi centroamericani. Nella mia mente solcavo nazioni come se fossero strade. Forti le gambe e ancora più forti i sogni. Però mi vedevo con il mio fedele zaino in spalla soprattutto sui terreni accidentati del Cile, in mezzo alle andine facce scolpite dei discendenti incas, su montagne dove il tempo pareva essersi fermato insieme con le tue angosce. Sapevo di avere la forza e l'ardimento necessari per percorrere il continente sudamericano da cima a fondo, magari accompagnata dalle struggenti melodie degli Inti llimani o dalla voce unica Violeta Parra che ringraziava la vita al mio posto per avermi condotto in terre dove il cuore degli uomini batte più forte.
Non so da dove nasca la mia passione per l'America latina. Magari dal fatto che il solo dialetto parlato nel mio angolo di Sardegna è la lingua catalana. Magari dal fatto che ho mangiato pane e spagnolo fin da quando ero alta così. Spesso penso che in un'altra vita quel lontano continente mi apparteneva. Forse sono stata una sacerdotessa maya o un'umile lavandaia azteca, chissà. Sono tuttora iscritta al sito di Gianni Minà e niente mi rende più felice che impossessarmi dell'ultimo libro di Isabel Allende, Angeles Mastretta e Marcela Serrano o crogiolarmi al caldo e luminoso canto di Gloria Estefan.
Ricordo l'emozione di quando il mio professore di letteratura spagnola e ispanoamericana - un romanzesco personaggio peraltro amico fraterno di Pablo Neruda - mi presentò Luis Sepulveda. Mi trasformai in un attimo in un'ebete a bocca aperta. Qui davanti a me c'era questo straordinario essere dallo sguardo magnetico che mi fissava di tanto in tanto come se mi conoscesse. E qui pendeva dalle sue labbra una fanciulla pietrificata che si chiedeva se avrebbe mai riacquistato il dono della parola. Sepulveda parlò a me e ai miei compagni di corso di suo nonno Gerardo, un anarchico Andaluso fuggito in America latina per scampare a una condanna a morte. Ci disse di quand'era guardia personale del presidente Allende. Dio mio, quell'uomo era stato a braccetto con Allende, era stato arrestato durante la dittatura di Pinochet subendo le infami torture il cui ricordo echeggiava in quell'aula universitaria sassarese! La storia siamo noi, cantava De Gregori. Può darsi, ma la storia per me quel giorno era soprattutto quest'uomo placido che aveva visto in faccia una delle peggiori dittature del secolo e non aveva avuto paura. Ho ancora il romanzo Il mondo alla fine del mondo con una sua bellissima dedica, scritta dopo chiacchiere, caffè e tequila.

1 nov 2007

Cuor di Cirano. Cuor di Guccini


Mio Capitano. Partiamo con due affermazioni per nulla scontate: Guccini mi piace e mi piace pure come canta. Non credevo che un giorno avrei detto cose simili perché ai tempi del liceo vedevo l cantautore modenese come fumo negli occhi. Mi pareva un interprete lagnoso, uno di quei beccamorti musicali che si sarebbero meritati di essere presi a chitarrate in testa come fa il mitico John Belushi in Animal House. Bastava l'eco del suo vocione per farmi scappare lontano.Poi un giorno mio fratello il musicista - ha suonato il basso in qualche gruppetto musicale - portò a casa un doppio cd di Guccini registrato dal vivo. Io subito storsi la bocca ironizzando sui gusti musicali del consanguineo. Però accadde un fatto strano. Mio fratello all'epoca aveva l'abitudine di ascoltare la musica a volume altissimo, per cui anche se sprangavi due o tre porte tra te e lo stereo ascoltavi perfettamente ciò che non volevi ascoltare. Di conseguenza fui costretto ad accorgermi che molte delle canzoni del doppio cd mi piacevano. Ricordo ora "Dio è morto", "Canzone per un'amica", "Il vecchio e il bambino" e tante altre.Notai un particolare a me ignoto in quell'occasione. A dispetto di ciò che avevo sempre creduto Guccini aveva nel suo repertorio anche canzoni romantiche, spesso trattate con una profondità di sentimenti e una sensibilità di cui non credevo capace il cantautore emiliano. La canzone in assoluto che mi conquistò fu "Cirano". Rimasi più che stupefatto quando mi accorsi che nella registrazione dal vivo le parole di Guccini erano accompagnate da un coro di ragazzine e signore innamorate, in un modo non molto diverso da come si sarebbe fatto a un concerto di Eros Ramazzotti o di Claudio Baglioni. Adoro "Cirano" (con la i come lo scrive il cantautore modenese), ma la adoro soprattutto in quella versione dal vivo.Guccini a mio vedere è bravo, ma diventa irraggiungibile quando tratta temi riguardanti eroi maledetti e soli, erranti cavalieri incompresi che combattono contro i mulini a vento sferzando ipocrisia e conformismo dilaganti. E' bravo, Francesco, quando parla di una "ragazza bionda senza averne l'aria", "filosofando pure sui perché", ma è un gigante, il più grande gigante della canzone italiana, quando veste i panni di Cirano ("Io sono solo un povero cadetto di Guascogna / però non la sopporto la gente che non sogna") o di don Chisciotte (colpirò con la mia lancia l'ingiustizia giorno e notte / com'è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte...). Guccini è questo, l'eroe letterario e sfortunato che si innamora delle cause perse e delle donne sbagliate. L'eroe crepuscolare che fa sentire te eroe. E ora passo la parola a Cleide, che sull'argomento Guccini ne sa molto più di me e di quasi ogni altra persona in questi paraggi.
Cleide. Mi lusinghi Capitano, ma sono solo una povera cadetta di Sardegna, con un debole per la gente leale e degna come il cantautore dell'Emilia Romagna. Non so se sarò capace di scrivere di Guccini nel ristretto spazio di un post. Questo perché il mio interesse per il Cantastorie Francesco, come ama essere definito, non è solo discografico, ma abbraccia la sua ventennale attività di narratore e romanziere. Infatti, anche se non è noto a tutti, l'ex Avvelenato della canzone italiana ha scritto molto. Dai gialli, prodotti in collaborazione con Loriano Macchiavelli, ai racconti sulla sua Padania, terra da non intendersi assolutamente in senso leghista, alla dotta trattazione degli idiomi galloitalici che fanno da sfondo alla sua produzione narrativa. Il filo conduttore della produzione artistica gucciniana è la memoria, l'ancoraggio alle sue radici culturali, la tradizione popolare. In ogni caso mi affascina l'uomo, con la scorza di saggio montanaro, che si dimostra profondo conoscitore di vita e di esperienze senza perdere il suo animo di bambino.Tuttavia, è nei concerti si impara ad amare realmente il cantautore modenese. Ad assistere ad una sua esibizione musicale si rimane sorpresi dall'età dei partecipanti, gran parte dei quali sono giovanissimi. Eppure Guccini è sulla scena da quasi quarant'anni. Ho assistito a diversi suoi concerti e ogni volta la sensazione è sempre la stessa, quella di andare ad incontrare un amico. Francesco è un grande affabulatore, dotato di un sense of humor tutto emiliano, dove l'ironia si unisce all'indignazione e talvolta all'invettiva, senza mai trascendere in banalità o volgarità. Un compagnone, il perfetto complice da osteria che ti arringa su donne e politica mentre mette giù un re di coppe, uno che se lo incroci per strada non esiti a fermarlo per fare due chiacchiere. Ho spesso pensato di andare a Pavana per incontrarlo, e forse, un giorno o un altro, lo farò. Mi piace il Guccini che tu citi, Capitano, quello degli eroi sfortunati e dei cavalieri erranti, mi piace quel pathos che ti fa sentire un brivido lungo la schiena, mi piace il Guccini di Ritratti: Piazza Alimonda, Ulisse, Che Guevara, Cristoforo Colombo. Ma spesso mi metto all'ascolto di pezzi dove l'attenzione è rivolta ai volti meno noti, gli sfigati, gli incompresi: il Matto, Cencio, il Frate, eroi a loro modo, gente che vive sopra il conformismo ma ne è spesso vittima. Mi piace anche il Guccini delle rare canzoni d'amore, cantate quasi con pudore e senza traccia di banalità. Il Guccini delle domande consuete, convinto che" fare domande sia meglio che azzardare risposte, perché interrogarsi presuppone ricerca, e a rispondere si rischia l'arroganza". In fondo, ha sempre senso cercare l'isola incantata, ma è necessario guardarsi bene dal non trovarla.
Questo articolo è anche da Mio Capitano.